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Lo smart working da solo non basta come ‘leva’ di sostenibilità

 

Il lavoro da remoto può ridurre traffico, inquinamento e consumi energetici, ma non può essere considerato una leva “green” in sé, in quanto i benefici dipendono da variabili come le abitudini di consumo e l’efficienza energetica dei mezzi di trasporto e dei luoghi in cui si svolge l’attività. È quanto emerge da un recente studio curato da alcuni ricercatori ENEA

 

Il risparmio di energia legato alle nuove forme di organizzazione flessibile del lavoro è altamente variabile, in quanto influiscono - oltre alle modalità di spostamento e ai mezzi utilizzati - il numero dei giorni in cui si lavora da remoto, l’efficienza energetica di edifici, impianti e dispositivi, l’uso ottimizzato delle tecnologie digitali e, da non trascurare, anche le abitudini comportamentali e di occupazione degli spazi. Il lavoro da remoto potrebbe innescare un circolo virtuoso, stimolando una maggiore consapevolezza sui consumi energetici, promuovendo interventi di riqualificazione sostenibile degli edifici e rafforzando l’efficacia delle politiche pubbliche per l’efficientamento energetico del patrimonio abitativo.

 

Sono stati analizzati studi che hanno rilevato una riduzione dei consumi principalmente correlata al numero di giorni di lavoro da remoto (almeno 3 alla settimana) mentre  in altri scenari, si è riscontrato che i consumi complessivi possono addirittura aumentare.

 

Ad esempio, secondo un’indagine su circa 2mila dipendenti in telelavoro della pubblica amministrazione in quattro città italiane (Bologna, Roma, Trento e Torino) -  una delle più complete indagini empiriche sulle abitudini di mobilità in Italia, che stima l’impatto su consumi ed emissioni degli spostamenti in regime di telelavoro - è emerso che, in media, prima dell’adozione del telelavoro il campione percorreva circa 30 km al giorno per recarsi in ufficio, con un tempo medio di viaggio di 1 ora e 20 minuti. Una quota significativa – circa il 12% – affrontava tragitti particolarmente lunghi, superiori ai 100 km al giorno. Roma si distingueva come il caso più critico, con un tragitto medio di 2 ore, probabilmente a causa di distanze maggiori e di una grave congestione del traffico. Prima dell’adozione del lavoro da remoto, i veicoli privati dominavano i modelli di spostamento, con il 47% del campione che utilizzava l’auto. In media, il lavoro da remoto per 2,1 giorni a settimana ha comportato un risparmio giornaliero di 6 kg di emissioni di CO₂ e di 85 MJ di carburante per lavoratore (pari a 260 litri di benzina o 237 litri di gasolio). Su un anno lavorativo standard di 48 settimane, ogni telelavoratore ha risparmiato quindi circa 600 kg di CO₂ e 8,6 GJ di carburante. Le riduzioni delle emissioni più significative si sono verificate in città come Roma, dove i tragitti sono in media più lunghi e l’uso del trasporto privato è prevalente. Lo studio ha anche evidenziato un effetto rimbalzo limitato però a un incremento della mobilità di quartiere.

 

La maggior parte degli studi finora pubblicati si basa su analisi di casi specifici che riflettono l’eccezionale variabilità dei contesti sociali, economici e ambientali e non offrono conclusioni generalizzabili. Quantificare gli effetti netti del lavoro da remoto in termini di consumi di energia ed emissioni rimane una sfida ancora aperta e oggi più che mai urgente, vista la portata delle implicazioni collettive, ed è per questo che il piano di analisi e di intervento non deve limitarsi all’azienda o ai comportamenti individuali, ma deve abbracciare l’organizzazione delle città nel loro insieme.