Musica - i consigli della settimana


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Voci sovrannaturali

Nuovo cd per Mavis Staples, ripescaggio per Lady 007

di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)

Mavis StaplesOne true vine (Anti Records)

La signora Mavis Staples, classe 1939, da Philadelphia, è una di quelle persone baciate dalla fortuna, per aver frequentato le chiese battiste americane, dove le preghiere assumono la forma cantata del gospel, con sano divertimento dei partecipanti. La ragazza, all’epoca (negli anni ’40) cantava nel coro della sua parrocchia, e poi, con il padre come maestro di cerimonie, iniziò a cantare in giro con le sue tre sorelle e la supervisione del patriarca di famiiglia, Roebuck “Pop’s” Staples. Le Staple Singers, che vennero subito denominate “God’ greatest hitmaker”, inanellarono un successo dopo l’atro, edulcorando la ritualità godpel della quale erano intrise le prime canzoni ed avviandosi su un territorio soul e rhythm’n blues che le renderà famose quasi quanto il Patreterno, al quale comunque pensavano di dover rendere conto a canzoni alterne. Anche in questo superbo “One true vine”, uscito da poco, nel quale la signora, decisamente sovrappeso, nobilita l’arte del canto come a pochi è concesso, le riverenze al soprannaturale sono parecchie: “Jesus Wept”, “Holy Ghost”, “Woke up this morning (with my mind on Jesus)”. Se la Staples in questo album ci mette la sua voce divina, il resto lo hanno fatto mani assai laiche: la produzione di Jeff Tweedy dei Wilco, la registrazione nel bel loft della band a Chicago, e una manciata di brani di ottima fattura, a cominciare dal ripescaggio di “I like the things about me” scritta dall’augusto genitore all’incirca all’età del bronzo, o “Far celestial shore”, di Nick LOwe”. La tracklist è ben equilibrata, tra vecchi traditional, cover degli anni ’70, materiale scritto per la bisogna. Ma il fervore mistico , fra invocazioni al signore, hallelujah e canzoni-preghiera è l’elemento dominante, quello che decide da che parte spira il vento. Jeff Tweedy ha praticamente suonato tutti gli strumenti, lasciando solo la batteria al figlio diciassettenne Spenser. Ma non c’è l’aria di festa tipica delle sedute gospel, in “One true vine”. Questo è un album per un Dio dark, chiuso e poco gioioso. Mavis Staples si canta dentro, come in una seduta introspettiva. Ma siamo ai livelli da suicidio della Guyana, attenzione! Pian piano, l’incedere dei brani apre le persiane, e si comincia ad intravedere la luce del sole. Il tono sale, arrivano gli inni al Signore nel senso più consono alla tradizione. D’altronde ,lei è “al servizio di Dio”, per sua stessa ammissione.


Shirley BasseyThis is my life (Liberty)

I consigli musicali della settimana non prevedono l’attualità temporale come requisito fondante. Ergo, ogni tanto qualche sguardo al passato non può che aiutarci a capire meglio il presente e, perché no, il futuro. Così ho ripescato questo bell’album del 2000 di Shirley Bassey, la signora 007, ultimamente sostituita dalla più giovane e conosciuta Adele, che s’è intestata la colonna sonora di “Skyfall”. Gallese, 76 anni, voce potente e timbrica da brivido giallo, negli anni ’60 Shirley Bassey raggiunse il successo mondiale interpretando la colonna sonora di “Goldfinger”, una delle pellicole più fortunate di James Bond, e contemporaneamente lanciò anche la carriera dell’oscuro (allora ) John Barry, che l’aveva dipinta sul pentagramma. Detto questo, per dovere di cronaca, passiamo alle considerazioni più strettamente tecniche. Ventidue brani, e prezzo da saldo natalizio, se lo trovate. Tra l’altro, l’album con lo stresso titolo è del 1969, ed è stato registrato in Italia, dove la Bassey si esibiva spesso, soprattutto nei locali della Versilia. Non a caso la title track è stata scritta da Bruno Canfora e Antonio Amurri, e un altro brano, “Where is Tomorrow”, da Umberto Bindi. Siamo nella zona della musica orchestrale, degli evergreen anni ’60, dei classici di Rodgers e Hammerstein, o dell’intramontabile “Never Never Never” di Toni Renis. Ma sorprende la presenza più vicina ai gusti rockettari di “Light My Fire” dei Doors, interpretata con piglio orchestrale e voce alla Goldfinger. O, ancora, “Something” dei Beatles, stesse considerazioni di cui sopra. Oppue, “I (who are nothing)” , scritta da Mogol e Donida nel ’61, e portata al successo da Joe Sentieri, ripresa poi in Inghilterra dagli Status Quo. Titolo originale, “Uno dei tanti”. Insomma, belle commistioni, legami antichi, infiltrazioni rock nelle partiture orchestrali. Con, a legare il tutto, quella voce inconfondibile, riconoscibile da mezzo pianeta. Quel mezzo pianeta che ha visto “Goldfinger”, “Moonracker”, “Diamonds are forever”, and so on.