I film del week end


Stampa

This must be the place

di Sandro Calice

THIS MUST BE THE PLACE

di Paolo Sorrentino. Francia, Italia, Irlanda 2011, drammatico (Medusa)
Sean Penn, Judd Hirsch, Frances McDormand, Kerry Condon, Eve Hewson, Joyce Van Patten, David Byrne, Shea Whigham, Tom Archdeacon, Harry Dean Stanton, Seth Adkins, Simon Delaney, Gordon Michaels, Robert Herrick, Tamara Frapasella, Sarab Kamoo, Liron Levo
.

Poteva esserci il rischio della “macchietta”. E’ scongiurato dopo qualche minuto di film. Sorrentino e Penn sono intonatissimi, mentre David Byrne interpreta la canzone del titolo.

Cheyenne è una ex rock star americana che da trent’anni si è ritirata a vivere a Dublino insieme con la moglie. E’ successo qualcosa che l’ha fatto smettere di suonare, ma continua a vestirsi e truccarsi come ai tempi della fama. Ebreo, 50 anni, annoiato (lui dice depresso), lento, affettuosamente cinico, infantile, surreale, ciondola tra la splendida villa in cui abita ed un centro commerciale con una ragazzina come unica amica. “C’è qualcosa che mi ha infastidito, non so cosa, ma qualcosa…” è il suo lamento ricorrente. Ma qualcosa arriva davvero a schiaffeggiare quel torpore: il padre, che lui non vede da 30 anni, sta morendo. Cheyenne deve tornare a New York e per la prima volta nella sua vita capisce qualcosa di quel genitore da cui era fuggito convinto di non essere amato. E scopre la sua ossessione, l’assillo di una vita: ritrovare quel criminale nazista che l’aveva torturato in un campo di concentramento e che ora, vecchissimo, si nasconde chissà dove negli Stati Uniti. Nessuno, nemmeno il mitico cacciatore di nazisti Mordecai Midler, è mai riuscito a scovarlo. Non c’è speranza, nessun senso, nessuna logica, per questo Cheyenne decide che sarà lui a trovarlo.

Al suo quinto film Paolo Sorrentino (“Le conseguenze dell’amore”, “Il Divo”) conferma il suo talento, qui sottolineato dalla bravura di Sean Penn, del quale il regista dice: “Ha confermato quello che sospettavo, che i grandi attori ne sanno sul personaggio sempre molto di più del regista e dello sceneggiatore”. Truccato a immagine di Robert Smith dei Cure, l’attore due volte premio Oscar infatti ci mette un attimo a farci dimenticare che stiamo guardando Sean Penn con una parrucca, rendendo il personaggio credibile e affascinante. Sorrentino si muove in punta di cinepresa tra temi sdrucciolevoli come l’Olocausto e il rapporto tra padre e figlio, uscendone con ironia sulla scia di questa surreale (ma mica troppo) rock star depressa. Sullo sfondo l’America dei film che il regista napoletano ha amato, dagli orizzonti infiniti ai motel passando per una serie di improbabili ma realissimi personaggi, vista con l’occhio del turista colto. E non a caso il film di riferimento è quella splendida piccola epopea di “Una storia vera” di David Lynch. La musica (di David Byrne) e la fotografia (Luca Bigazzi) impreziosiscono il tutto. Resta solo, alla fine, una quasi impercettibile sensazione di evanescenza, forse un eccesso di perfezione formale, forse la sceneggiatura a quattro mani, per dirla con Cheyenne “qualcosa, non so cosa, ma qualcosa…”.

s.calice@rai.it