Festival delle scienze di Roma


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‘Erede di Einstein? No, discepolo’

Intervista al fisico Giovanni Amelino Camelia einstein_296

di Emanuela Gialli

Il concetto di tempo ha attraversato, ogni volta evolvendo e mutando caratterizzazione, le teorie fisiche elaborate nel corso dei secoli. Il tempo per Galilei era “assoluto”: tutti gli osservatori lo potevano usare come riferimento. Nella Relatività di Einstein il tempo è diventato “relativo”: la simultaneità di due eventi distanti non è indipendente dall’osservatore. L’attuale ricerca sulla “gravità quantistica” ha reso “ipotesi esplorabile” la possibilità che anche la coincidenza assoluta di eventi nello spazio e nel tempo potrebbe non essere oggettiva. Una ricerca che porta il nome innanzitutto del fisico Giovanni Amelino Camelia. Al termine della sua Lectio Magistralis a Televideo ha confessato: “Sono stanco. Datemi qualche minuto per riprendermi, prima dell’intervista”. In effetti, per tutta la presentazione è parso come attraversato da un flusso inarrestabile di concetti e teorie, che con calma e pacatezza ha riversato sulla platea. Sembrava quasi “strumento” di idee provenienti da altri spazi e altri tempi.

Professor Camelia, lei viene indicato come “l’erede di Einstein”. E’ una conferma che i ricercatori italiani nel mondo si fanno valere e noi ne siamo orgogliosi. Ma lei si sente più erede o custode della scienza di Einstein?
Non ha senso cercare “eredi” di Einstein. Senz’altro c’è un modo di fare fisica, che non è solo mio, ma di una comunità di persone che lavorano, a me piace dire, con lo spirito dell’Einstein giovane, che si faceva ispirare più dai dati sperimentali che dalle speculazioni individuali. In questo mi sento suo discepolo, e come me tanti altri fisici. E poi, diciamo la verità, cercare l’erede di Einstein è un “gioco “ che alla stampa fa vendere molte copie.

Lei ha anche parlato nella sua Lectio Magistralis degli sviluppi delle ricerche sulla scala di Planck ed ha fatto riferimento a concetti come simultaneità e coincidenza. Che differenze c’è tra loro, sul piano della Fisica?
Qui siamo proprio alle frontiere concettuali della Fisica. La “simultaneità” si lega a due fatti nello spazio che coincidono solo temporalmente: la simultaneità è una coincidenza temporale ma non spaziale. La “coincidenza” invece è la totale coincidenza degli eventi, nello stesso spazio e nello stesso tempo. Io faccio spesso l’esempio del fulmine. Le simultaneità che perdono di valore fisico sono quelle di eventi distanti ma quelle di eventi che coincidono anche spazialmente hanno una forte valenza fisica, sia in Galilei come in Einstein. Una ricerca da me proposta e anche studiata da altri gruppi comincia a mostrare che c’è una coerente logica matematica relativistica in cui si può fare a meno anche di questo ultimo pezzo della Relatività galileiana, sopravvissuto in quella di Einstein, cioè della coincidenza assoluta di eventi. E’ una ipotesi esplorabile. Ci sarebbe posto dunque per una teoria relativistica nella quale si può fare a meno anche di questo pezzo del nostro tempo, che è un tempo potentissimo, che ordina tutto, quindi tutte le simultaneità sono potenti. E’ chiaro che l’ordine causale dell’Universo è governato da questo unico parametro del tempo.

Sul piano umanistico, si può dire che vi sia una sorta di coincidenza tra Relatività scientifica e relatività morale e sociale?
Non sono particolarmente adatto a questa domanda. Io sono un purista della scienza. Sono uno scienziato che non esita a speculare, a sondare la natura in direzioni in cui non era stata magari ancora esplorata. Ma sono fedele al metodo di investigazione tradizionale. Io tenderei piuttosto a trovare le differenze tra la Relatività nella scienza e la “colloquializzazione” che se ne fa in altri ambiti.

Nella sua presentazione ha anche illustrato i risultati delle ricerche sulla “scala di Planck”, di cui lei si occupa da anni. Ha fatto riferimento però anche all’esperimento “Opera” (del Laboratorio del Gran Sasso che ha misurato una velocità superiore a quella della luce per il neutrino muonico, ndr). Sono questi due ambiti scientifici tra loro alternativi?
Quello che ho provato a dire nella mia presentazione è che parte di questa misteriosa fisica della scala di Planck, sulla quale per ora abbiamo solo indizi molto tenui, ha incoraggiato una linea di ricerca che contempla la possibilità che la “scala” caratterizzi, quella che io chiamo, un’altra evoluzione relativistica. Così come si è passati dalla Relatività di Galilei alla Relatività di Einstein, ci potrebbe essere una nuova Relatività di Planck. E questa ipotesi nell’ultimo decennio è stata molto studiata. Quando “Opera” ha annunciato il suo risultato sperimentale sulla velocità del neutrino, in contraddizione apparentemente con la teoria di Einstein, si è pensato che potesse aver scoperto una prima manifestazione di queste teorie di superamento di Einstein, nell’ambito della scala di Planck. Questa ipotesi, guardata nel dettaglio quantitativo, però non sembra probabile. Cioè, se anche il risultato di “Opera” andasse realmente al di là della Relatività einsteiniana, ma c’è davanti un bel pezzo di cammino prima di crederci da scienziati, tante verifiche bisogna ancora fare, studi dimostrano che sarebbe comunque improbabile l’associazione con la fisica della scala di Planck . Quindi c’è tra queste due linee di ricerca, quella preesistente sul destino della Relatività di Planck e la nuovissima invece nata con “Opera”, un punto in comune, che è quello di essere pronti a mettere in discussione la Relatività di Einstein. Tra l’altro “Opera” utilizza alcune delle tecniche che io e altri abbiamo sviluppato nello scorso decennio per analizzare la fisica della scala di Planck.

Scetticismo e diffidenza dello scienziato. Parole diverse che hanno una valenza diversa: positiva per la prima, negativa per la seconda, forse? Lei è più scettico o diffidente nei confronti del risultato dell’esperimento “Opera”?
Sono esclusivamente scettico e nel senso più sano. Io faccio il tifo per “Opera”. Penso, con la mia presunzione, di avere una delle passioni scientifiche più ardenti al mondo. E quando si ha tanta passione per la scienza, un esperimento come “Opera” è un sogno. E proprio questo mi mette in guardia. Perché sono un cacciatore di fatti, diffido di me stesso quando c’è qualche novità che mi può piacere. Ed è in questi casi che alzo la barriera dello scetticismo. Ma non nei confronti dei colleghi, che ho motivo di ritenere che abbiano lavorato con il massimo scrupolo. E’ che l’uomo di scienza, secondo, proprio perché ha voglia di misurarsi con nuove manifestazioni della natura, deve essere il capofila degli scettici.

Il documento di Antonio Ereditato, che è il coordinatore della collaborazione internazionale di “Opera”, lei sa che non è stato firmato da alcuni scienziati del gruppo. Se avesse fatto parte di questo gruppo lei il documento l’avrebbe firmato?
Non posso parlare con certezza, perché come fisico teorico non ho seguito in dettaglio. Però in generale ho il sospetto che alcuni non abbiano firmato l’articolo per motivi che io non avrei fatto miei. Cioè, io ipotizzo che non abbiano firmato non per diffidenza verso la misura, ma solo per una sorta di pudore verso una misura così scioccante. Io non sarei rientrato in questa categoria. Io penso che la scienza fa il suo percorso quando le collaborazioni sperimentali riferiscono quello che hanno trovato. Con il coraggio di sbagliare. Sbagliare fa parte della scienza. Non si può essere reticenti su un risultato potenzialmente rivoluzionario solo perché non si ha il coraggio di poter sbagliare. Ciò non vuol dire che alcuni potrebbero non aver firmato per un intuito particolarmente acuto, non so. Comunque, mi piace qualificarmi come uno dei massimi scettici nei confronti della misura di “Opera”, proprio perché sono un tifoso di “Opera”.

Camelia è uno dei principali studiosi italiani della gravità quantistica. Laureato a Napoli, 46 anni, ha conseguito il dottorato di ricerca alla Boston University. Ha lavorato al MIT, alla Oxford University e al CERN. Attaulmente è ricercatore al Dipartimento di Fisica de “La Sapienza” di Roma. Ha vinto molti premi, tra i quali il Prix Haenny 1999, il Premio Spaienza Ricerca 2009, il Second-place prize Gravity Research Foundation 2011. Autore di oltre 100 pubblicazioni, è membro dell’Accademia Pontaniana, del Foundation Questions Institute e del Consiglio Scientifico del Festival di Genova.

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