Festival delle scienze di Roma


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Pensieri a tempo

Intervista al direttore scientifico della manifestazione orologi_296

di Emanuela Gialli

Il “Kronos” divoratore della mitologia greca, divoratore dei suoi figli per paura di essere destituito da uno di loro da “capo del mondo”. Il tempo-creazione-relazione con Dio, κρόνος (kronos) e καιρός (kairos), dell’Antico e Nuovo Testamento. Dalla mitologia alle religioni che hanno accompagnato, e accompagnano, l’umanità fin dalla sua origine, il Tempo è stato sempre scandito da rappresentazioni, simbologie, racconti storici e ricerche scientifiche che hanno tentato di spiegarne il valore e la necessità in relazione ai cicli della natura. All’Auditorium di Roma si ascolta il tempo, attraverso i suoi significati ed effetti le sue diverse forme di manifestazione. Vittorio Bo è stato Amministratore delegato e Direttore generale della Giulio Einaudi Editore. Ha fondato la società editrice “Codice”, specializzata in editoria scientifica, tecnologica e culturale. Ha ideato il Festival della Scienza di Genova nel 2003 e ne è ancora il direttore. Ha insegnato alle Università di Torino e Siena. Di questa settima edizione del Festival delle Scienze di Roma, è il direttore scientifico.

La scelta di dedicare il Festival delle Scienze di Roma al Tempo è stata in qualche modo suggerita delle recenti scoperte della Fisica, in particolare quella relativa alla velocità del neutrino?
No, direi di no. Perché il tempo è una dimensione molto presente nella speculazione non solo scientifica, ma anche filosofica, religiosa e artistica. Noi nel programma del festival vogliamo dimostrare quanto il tempo sia uno dei momenti più pregnanti dell’indagine sull’uomo e una delle aree di trasformazione dell’umanità, basti pensare al prima e dopo Einstein. Inoltre, il Tempo è legato fortemente alla Musica, alla Letteratura. C’è il percussionista Antonio Caggiano, c’è il monologo di Stefano Benni. Il filosofo Markosian, esploratore della metafisica nel tempo. Il linguista Yael Sharvit. E c’è il fisico Giovanni Amelino Camelia, 46 anni, napoletano. Insegna alla Sapienza di Roma. E’ considerato l’erede di Einstein. E ancora il fisico Carlo Rovelli, l’antropologo Marco Aime. E l’incontro tra il fisico Julian Barbour e il filosofo della scienza Giulio Giorello. Le altre Lectio magistralis, di Jean-Pierre Luminet, astrofisico e poeta, Ned Markosian, Dava Sobel, Lera Boroditsky, Richard Gott, Ronald D. Siegel, Ian Tattersall..

Partecipa anche il Ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo. La scelta del tema del tempo, in questo periodo, è anche una scelta di tipo politico, secondo lei?
Nelle nostre intenzioni no. Chiaramente, il tempo ha a che fare con una serie di condizioni nelle quali noi oggi ci troviamo a vivere, a decidere. Se vuole, tutte le argomentazioni che noi affrontavamo nelle edizioni passate diventavano politiche nella misura in cui si confrontavano con un grande pubblico, che cercava di dare un senso alla propria presenza, di formulare domande, di porsi delle nuove prospettive, soprattutto quando, ad esempio tre anni, ci siamo occupati dell’ambiente. Certamente, il tempo oggi è qualcosa di apparentemente inafferrabile, di incontenibile. Il tempo esiste? Ne parlano Rovelli e Giorello. Anche Barbour, che ha scritto un libro qualche anno fa sulla fine del tempo. Lui è uno di quegli scienziati che affermano che il tempo è una dimensione di cui sembrerebbe non esserci più bisogno, che non è misurabile. Le grandi scoperte, come quella della Relatività di Einstein, tentano di superarlo attraverso dimensioni unitarie poi il tempo finisce per non essere più così importante. Non per tutti è così.

Se la mente si abituasse a misurarsi non più solo con il tempo, almeno non esclusivamente, forse si vivrebbe meglio.
Assolutamente.

Da cosa potrebbe essere sostituito il tempo? Dalla scansione ritmica? Il ritmo potrebbe prendere il posto del tempo, senza più la necessità di porsi limiti?
In qualche modo già avviene. Ad esempio nella musica: il ritmo segna il tempo. Certamente, abbiamo bisogno di un altro ritmo e quindi di un altro tempo. Il tempo però non ha bisogno di essere sostituito. Tra l’altro al Festival approfondiamo anche il legame tra mente, cervello e tempo, quello che noi costruiamo con lo strumento tempo, che a quel punto esce dalla sfera scientifica e diventa più un argomento, oltre che filosofico, etico. Ragionare sul tempo significa misurarci con le nostre dimensioni umane, per riprenderci il nostro tempo. Ed essere meno affannati.

Sarebbe auspicabile, secondo lei, arrivare un giorno a non festeggiare più il Capodanno e a vivere una vita senza soluzione di continuità, tra un giorno o l’altro?
Ma queste sono misure del tempo dettate dai cicli naturali che sarebbe sbagliato non considerare per noi vitali, anche dal punto di vista della soggettività. Le stagioni, lo scorrere delle ore, la notte e il giorno, le stagioni. Questi passaggi hanno un valore più simbolico che cronologico o scientifico, o matematico. Sono momenti che segnano ciò che ci è appartenuto, ciò a cui siamo stati legati, che ci ha dato gioia o dolore. E quindi si passa ad un altro anno con le speranze e le tensioni che lo accompagnano. Tutto qua. Comunque, questo del tempo è un tema veramente affascinante. Pensi che in America c’è un gruppo di scienziati, come Stewart Brand, che hanno una Fondazione, Long Now Foundation, di cui uno dei più grandi progetti messi in programma è la costruzione di un orologio infinito, che si vorrebbe calcolasse il tempo per centinaia e migliaia di anni (10 mila anni, per almeno 400 generazioni. Segna gli anni invece dei secondi, i secoli come i minuti, i millenni al posto delle ore, ndr). Ce n’è un prototipo a Londra. E loro lo stanno costruendo nel deserto della California, a San Rafael. Sì, il tema è decisamente affascinante. Prima del Big Bang c’era il tempo? E Dopo? Ci sarà ancora?

Il messaggio che può venire fuori dal Festival delle Scienze di Roma sarà quello secondo lei di allentare la morsa del tempo oppure di allargare il raggio d’azione del tempo?
Io credo che sia molto soggettivo. Dipende dagli stati d’animo e dagli interessi delle persone. Di solito, in occasione del Festival vengono fuori curiosità, domande che non sono mai complete, soluzioni che rimandano ad altre domande. In questo senso è un po’ un processo continuo, questo infinito domandarsi. Più si pensa di sapere, più sentiamo di non sapere. Questo ha a che fare con la nostra percezione del tempo molto personale, ma che ci fa sentire più ricchi e molto umani nei nostri limiti.

Anche la politica è scandita dal tempo. Il tempo in politica, è un aspetto che manca nel programma del Festival.
No, in effetti non ci abbiamo pensato.

Secondo lei, il tempo in politica da che cosa è influenzato?
Dal breve periodo, dal fatto di misurarsi con effetti, misure e programmi che hanno un orizzonte temporale estremamente corto. Bisognerebbe in politica riuscire ad arrivare non dico al tempo dell’evoluzione, che si svolge in migliaia di anni, ma almeno a un tempo in cui si possano prendere decisioni più responsabili, più consapevoli, più critiche da parte di noi cittadini, che possano avere dei risultati più duraturi. Sarebbe utile arrivare, ecco, a un tempo della politica più saggio. E meno utilitaristico, che si ha quando la politica si misura solo sull’asse temporale entro il quale rispondere o lavorare per un mandato.

Il prossimo anno organizzerete il Festival sul tema dello spazio?
Si, probabilmente. E’ uno dei temi che ci gira per la testa.

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