Incontro all'Università Luiss di Roma


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Mafia Spa, un business da 130 mld l’anno

Un workshop per capire il fenomeno e dare risposte concrete convegno_luiss_legalita_296

di Fabrizio de Jorio

La prima impresa italiana in termini di fatturato, è il crimine organizzato, mafia, camorra, ndrangheta, con un fatturato di oltre 130/150 miliardi di euro l’anno ed un utile netto che si aggira tra i 70 e i 90 miliardi di euro. Gli affari della criminalità di stampo mafioso, raggiungono 6/7% del prodotto interno lordo del paese (PIL). Dati allarmanti, confermati da numerosi rapporti stilati da sindacati, associazioni di categoria che spiegano come “l’azienda mafiosa” controlli attività illegali come il traffico di droga, di esseri umani, di rifiuti tossici, ma da un decennio, per riciclare i proventi illeciti e ripulirli, oltre ad infiltrarsi in settori finanziari e bancari, ha preso di mira attività commerciali come la ristorazione, il mercato ortofrutticolo, le aste del pesce, il turismo, l’edilizia, il commercio al dettaglio e perfino nel business delle pompe funebri!

Alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss di Roma, durante un workshop sulla legalità, organizzato da Giovanni Saracino, Pietro Maria Sabella e Valentina Romano e moderato dai giornalisti Angelo Mellone e Paolo Messa, si sono analizzati gli effetti delle attività illecite delle associazioni mafiose sulla vita economica del nostro Paese, ed in particolare del Lazio e di Roma. Tra i relatori, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, Diana de Martino, sostituto procuratore antimafia, Antonio Balsamo, consigliere di Cassazione, Filippo Conticello, imprenditore, Giovanni Lo Storto vice direttore Luiss, il giornalista Roberto Cotroneo, Luiss, Nicolò D’Angelo, Questore di Latina, Antonio Turri, dell’associazione Libera, Tano Grasso, presidente associazione antiracket. “I giovani- ha detto Grasso- devono capire che il problema del contrasto alla mafia è una questione anche loro”, perché sarebbe un errore credere che a sconfiggere la mafia sia solo lo Stato, i magistrati e le forze dell’ordine. Nella lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso, “è fondamentale che i cittadini, gli operatori economici taglieggiati denuncino, perché -ha aggiunto Grasso- non è possibile contrastare il racket se non lo si denuncia”.

Uno che il racket l’ha denunciato è Vincenzo Conticello: dal 2006 vive sotto scorta, titolare dell’Antica Focacceria San Francesca Palermo, è diventato il simbolo della guerra al racket e un modello per gli imprenditori della Sicilia. Durante un processo a Palermo, indicò in aula uno dei suoi estorsori e da allora la giustizia sta perseguendo i suoi aguzzini condannati recentemente dalla Corte d’Appello di Palermo a pene pesantissime. La strada da seguire per Conticello è la denuncia:” La mia esperienza mi porta a dire che lo Stato c’è e le forze dell’ordine sono state efficienti conducendo indagini meticolose e rapide”.
(> Intervista a Vincenzo Conticello)

Per il presidente dell’Anm, Palamara, il contrasto e la prevenzione alla criminalità organizzata di stampo mafioso-camorristico, risulterà più efficace se gli operatori economici taglieggiati scelgono di denunciare i propri aguzzini.. Palamara ha anche ribadito la sua contrarietà ad una riforma sulle intercettazioni perchè "sono un mezzo di ricerca della prova fondamentale nella individuazione del colpevole del reato", soprattutto in reati connessi alle attività compiute dai clan mafiosi, come le estorsioni e l’usura. Tuttavia, aggiunge Palamara "occorre trovare un momento nella fase preliminare dell'indagine dove un giudice individua gli elementi rilevanti o meno delle intercettazioni stralciando quelli che non interessano all'inchiesta". Questo al fine di “evitare la pubblicazione degli atti che riguardano fatti personali e di persone estranee al procedimento”.

Il fenomeno dell’imprenditoria mafiosa in generale ha tre metodologie: sono imprese mafiose quelle costituite o acquisite per iniziativa di un'organizzazione criminale, la quale ne ha la gestione, oppure l’impresa mafiosa che viene gestita, in modo diretto o indiretto, da un singolo criminale mafioso nel proprio esclusivo interesse. In una terza accezione si può parlare di impresa mafiosa per indicare le "società ad infiltrazione mafiosa", nella quale l'imprenditore, pur estraneo all'organizzazione criminale, instaura con questa rapporti stabili di convivenza, accettandone i servizi offerti e ricambiandoli con altri servizi ed attività complementari. Nell'ultima accezione le imprese mafiose sono quelle che entrano in rapporti più o meno stabili con le organizzazioni criminali, pur senza in esse inserite o "contigue", solo al fine di concludere affari vantaggiosi.

I settori produttivi nei quali è più massiccia la presenza di imprese mafiose sono negli appalti pubblici, nel mercato alimentare e dell'abbigliamento, nell'industria dello svago, ed in quelle della ristorazione e dell'ospitalità, nel settore agroalimentare ed infine nello smaltimento dei rifiuti. L'assetto giuridico preferito sembra quello della società a responsabilità limitata, una veste formale che consente di rendere più difficile e complesso l'accertamento del collegamento tra l'impresa e l'organizzazione mafiosa e, quindi, l'effettiva gestione della prima da parte della seconda. Un meccanismo per evitare, per quanto possibile, le attenzioni delle forze di polizia. E soprattutto le relative conseguenze in termini di provvedimenti mirati a sequestri e confische di patrimoni accumulati illecitamente. Anche l'impresa a carattere individuale risulta comunque abbastanza diffusa con l'inserimento di un prestanome ovvero di un imprenditore apparentemente estraneo all'organizzazione mafiosa.

Insomma, una “mafia imprenditrice”, che privilegia il mercato anche utilizzando l’estorsione e l’usura, laddove l’estorsione consiste nel prelievo di una parte degli utili dell’impresa, mentre l’usura è un meccanismo di strozzamento dell’impresa per impossessarsene. Il passaggio dal racket all’usura significa che la criminalità dall’utilizzazione del mercato passa al suo impadronimento. L’impresa mafiosa, di fatto, sbaraglia qualsiasi concorrente: non sopporta i costi del credito come avviene per le altre imprese e si finanzia principalmente con i proventi ottenuti dalle attività illegali (droga, racket, commercio internazionale di armi, usura ecc), attuando il “riciclaggio” del denaro sporco.

Basta guardare cosa accade nel settore degli appalti, dove l’impresa criminale, imponendo un cartello, annulla la possibilità di offerte competitive. Così la tangente al funzionario viene pagata solo dalle imprese appartenenti al cartello. Tutto questo crea barriere all’entrata in tale mercato e genera inefficienza (maggiori costi), poiché le imprese partecipanti al cartello non sono costrette ad aumentare la produttività, a causa dell’assenza di pressioni competitive. Ma l’impresa mafiosa gode anche di fondi pubblici, e spesso divide rendite con il mondo della politica.

Il fenomeno della Mafia Spa è ovunque, ormai, anche al nord: in Lombardia, secondo il Cnel, si sono spostate tutte le ‘ndrine che contano, nessuna esclusa, ed ognuna di loro ha trovato il proprio spazio. In questo modo si verifica l’espulsione di imprenditori sani e la contestuale sostituzione con soggetti privi di scrupoli e la creazione di forme consistenti di concorrenza sleale nei diversi settori dell’economia che distorcono così le regole di mercato e determinano talvolta il fallimento delle imprese legali concorrenti. L’acquisizione mafiosa di esercizi pubblici, negozi, supermercati ed altro ancora, consentiva di giustificare in maniera più semplice gli incassi e nello stesso tempo le uscite. La ‘ndrangheta, sempre secondo il rapporto del Cnel, ad inizio millennio, è la mafia dominante al Nord. Le ‘ndrine sono cambiate rispetto al passato e oggi, come ogni azienda che si rispetti, diversificano i loro interventi; se sono costrette a disimpegnarsi da un settore s’impegnano di più in un altro. Alcune lo fanno dopo un’attenta analisi di mercato, le altre perché costrette dalle attività d’indagine.

In Lombardia il predominio sul mondo imprenditoriale locale avviene in molti modi, e tra questi – quando la ricerca del consenso con modi suadenti non serve a raggiungere lo scopo – sono compresi anche i “danneggiamenti e incendi sui cantieri, esplosioni di colpi d’arma da fuoco contro beni di altri imprenditori, incendi di vetture in uso a concorrenti o a pubblici amministratori, minacce a mano armata, imposizione di un sovrapprezzo nei lavori di scavo”. Indagini nell’hinterland di Milano mettono in luce sia la presenza delle ‘ndrine nei lavori dell’alta velocità ferroviaria e in quelli dell’ampliamento dell’Autostrada A4 sia il rapporto nuovo tra imprenditoria ‘ndranghetista e imprenditoria lombarda.

La presenza di capitali mafiosi e l’incontro con i colletti bianchi determina delle conseguenze in entrambi i lati del processo economico, quello mafioso e quello illegale-criminale, dal momento che “alla riscoperta della criminalità dei colletti bianchi e delle sue interazioni con il crimine organizzato si affianca la diffusa consapevolezza che la stessa criminalità mafiosa, entrando in ‘mercati’ ad essa tradizionalmente estranei, si appropria dei modelli operativi della criminalità economica e finanziaria, adattandoli ai propri, in un combinato esercizio di corruzione, minaccia e violenza”.

Nella capacità d’investire il denaro acquistando immobili o rilevando attività economiche di vario tipo o partecipando da protagonista alle transazioni in un mercato opaco c’è tutta l’abilità dei moderni mafiosi che sono riusciti nella straordinaria impresa di riciclare enormi quantità di denaro con l’aiuto di professionisti e di faccendieri locali che hanno messo al servizio dei mafiosi le loro capacità, la loro professionalità e la loro conoscenza della realtà economica locale, sia quella legale che quella illegale.

> Intervista ad Antonio Balsamo, magistrato Corte di Cassazione, componente comitato studi fondazione Rocco Chinnici