La criminalità organizzata di stampo mafioso cambia strategia e alle classiche metodologie violente, estorsive, intimidatorie, evolve nella mafia dai colletti bianchi. Come magistrato, in prima fila a Palermo, ha condannato decine di pericolosi boss: ritiene che l’attuale legislazione è pronta alla sfida? Il codice antimafia è uno strumento efficace per reprimere le nuove forme di illegalità?
Nella recente legislazione c’è un cambio di prospettiva: si passa dalla pericolosità del singolo soggetto alla pericolosità del patrimonio. Da questo punto di vista il tentativo di applicare le misure patrimoniali al di là del tradizionale settore della criminalità organizzata e c’è l’opportunità di costruire un modello di intervento patrimoniale in grado di coinvolgere tutte le forme di delinquenza abituale costruite sulla base di sistemi di comportamenti al di fuori delle mafie in senso classico. Tra gli elementi di importanti per dare forza all’attività di repressione del fenomeno dei patrimoni sospetti, l’attuale disciplina prevede la possibilità di applicare la confisca dei beni anche agli eredi del mafioso. Il codice antimafia è un passo avanti nella legislazione vigente, ma rilevo che ci sono della parti mancanti, almeno nella legge delega e si spera che ci sia un intervento correttivo nel momento in cui verrà emesso il decreto legislativo delegato.
Quali sono i punti critici della recente legislazione antimafia?
La mancanza del reato di auto riciclaggio nel senso che oggi è punibile solo chi ricicla soldi altrui e non i propri. In Inghilterra, ad esempio, l’autoriciclaggio è previsto, così come in altri paesi europei. L’altro punto critico riguarda la fissazione in termini perentori della durata del sequestro dei patrimoni perché spesso il magistrato deve valutare un’enorme mole di rapporti economici, finanziari, bancari, anche all’estero. E’ un’opera di ricostruzione di come si è formato, sviluppato un patrimonio illecito che richiede dei tempi considerevoli al fine di raggiungere una certezza oggettiva che mal si coniuga con il processo breve.
Quanto incide l’attività criminale di stampo mafioso sulle imprese e sul tessuto economico del territorio?
Moltissimo, è come se le aziende venissero svuotate dall’interno: il condizionamento mafioso sconvolge l’intero sistema economico. La fase dell’estorsione è il primo passo per la costruzione di un rapporto di società di fatto tra un’organizzazione criminale e un imprenditore. Non c’è più solo il semplice prestanome, ma spesso gli imprenditori stessi, o per imposizione, o per convenienza, entrano in società con il mafioso: è il modello della partecipazione atipica, un secondo passaggio dopo quello dell’estorsione.
Cosa si dovrebbe cambiare nella attuale legislazione?
Il primo punto riguarda i collaboratori di giustizia: bisognerebbe eliminare completamente il limite dei 180 giorni per le dichiarazioni, introdotto nel 2001, perché il collaborante spesso deve ricostruire decenni di attività criminali e con questo limite è difficilissimo farlo. Un’altra cosa importantissima sarebbe armonizzare il sistema di formazione della prova ai parametri europei. Nel nostro sistema processuale, ad esempio, noi non possiamo utilizzare le dichiarazioni rese dal soggetto che dopo avere deposto durante le indagini si sottopone all’esame dibattimentale ma dice qualcosa di diverso. In Inghilterra, che sarebbe un po’ il modello del nostro sistema processuale, le due dichiarazioni sono entrambe utilizzabili e vengono valutate dal giudice che sceglie quella più attendibile. Nel nostro sistema è come se tutto quello fatto durante le indagini, venisse privato di efficacia probatoria. E’ una cosa pericolosa perché in questo modo il teste di un processo per mafia, può essere soggetto a pressioni e minacce pur di ritrattare le dichiarazioni rese in fase di indagine. Questo è uno dei punti deboli dell’attuale sistema di cui, ovviamente, sono ben consapevoli le organizzazioni criminali. Ci vorrebbe un ripensamento del sistema di formazione della prova penale.
Terzo punto è attuare le direttive quadro europee in materia di intervento patrimoniale. Mi riferisco alla legge delega del febbraio del 2008 che cercava di attuare la decisione quadro dell’Unione europea in materia di confisca: questa delega non è mai stata attuata e chiaramente è una grossa lacuna. Con quella legge si tentava di armonizzare i sistemi di intervento patrimoniale a livello europeo e quindi rendere possibile la circolazione di provvedimenti di confisca anche all’estero. Questa è la strategia per il futuro nella lotta alle mafie internazionali.
C’è anche la questione della prescrizione, in virtù della quale se il reati si prescrive anche i patrimoni mafiosi non possono essere confiscati, è vero?
Si, infatti, questa carenza è stata rilevata a livello europeo, dal Gruppo degli Stati contro la corruzione, primo organismo in seno al Consiglio d’Europa, che si occupa di valutare la conformità degli ordinamenti nazionali rispetto agli standard europei in materia di corruzione. I membri del Gruppo hanno sottolineato come nel nostro sistema non esiste un adeguato rimedio per consentire la confisca nel caso di prescrizione.
La legge comunitaria 2007, approvata nel febbraio 2008, recepiva le indicazioni della commissione di riforma del codice penale, presieduta da Giuliano Pisapia ed era un sistema molto moderno: partiva dall’idea che la pena detentiva non è l’unico e nemmeno il più adatto strumento e prevedeva sanzioni alternative al carcere.
(F. d. J.)