Economia


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Rifkin: l'energia imbrigliata in una rete

Intervista al guru dell'economia rifkin_296

di Francesco Chyurlia

E’ immerso nei pensieri anche mentre fa colazione, seduto al tavolino del Residence alla periferia di Perugia, sede di un mega convegno organizzato di recente dalla Confesercenti in tema di crescita economica in tempi di crisi mondiale. “Il problema è proprio questo: come può crescere l’economia mondiale nelle ultime fasi della grande era energetica?”. Non perde tempo in preamboli il guru dell’economia Jeremy Rifkin e come un fiume, difficile da arginare, ci offre un quadro non troppo confortante di ciò che il futuro ci prospetta. “Siamo al crepuscolo di un regime energetico fondato sul petrolio, sul carbone, sul gas naturale e sull’uranio”.

Quanto tempo ci vorrà per giungere all’esaurimento di queste fonti?

“Ci vorranno decenni, ma il problema va posto: cosa facciamo? Si tratta di combustibili fossili che noi usiamo per l’illuminazione, per fare la plastica, i fertilizzanti chimici, i materiali per l’edilizia, prodotti farmaceutici, gran parte dei nostri abiti e via dicendo. La capacità dei nostri leader nell’affrontare questa crisi determinerà il tipo di civiltà in cui vivremo e quella dei nostri figli”.

Quale scenario si configura?
“L’economia globale è stagnante. Non si tratta di una recessione ciclica. Questa stagnazione è la fine di una rivoluzione energetica in cui tutta l’economia globale si trova: quando il prezzo dell’energia sale, sale l’inflazione e il potere d’acquisto dei consumatori scende e di conseguenza cresce la disoccupazione. La ragione per cui il prezzo del barile del petrolio è sceso da 140 dollari al prezzo attuale è legato al fatto che l’economia è in stagnazione e c’è meno potere d’acquisto. Non è che magicamente abbiamo trovato tanti nuovi pozzi”.

Come si esce da questa crisi?
“Bisogna ripensare la globalizzazione perché questa si basava su un assunto principale, che non è più valido: l’energia a basso costo. Anche la manodopera a basso costo non l’abbiamo più perché quello che importa è la logistica, portare un prodotto da A a B. Abbiamo poi una instabilità politica nei paesi che producono petrolio: un terzo di tutte le guerre civili nel mondo sono in paesi produttori di petrolio. Tutti vogliono il petrolio, il gas naturale e il carbone, dagli Usa al Giappone, dall’Europa alla Cina. Se ci sono questi conflitti oggi, cosa succederà nel 2009, nel 2010 o nel 2012?”

Quando si ipotizza che possa finire il petrolio?
“Il presidente dell’Eni sostiene che ci sono ancora 80 anni di petrolio. Secondo i nostri test non è così. Il picco del petrolio, che è un termine di petro-geologia, serve a indicare che metà del petrolio globale è finito. Quando si arriva a questo picco vuol dire che è finito, perché non ci si può più permettere l’acquisto del petrolio. Anche l’Agenzia internazionale per l’energia, i più ottimisti che rappresentano i produttori di petrolio, sette anni fa prima dell’entrata in campo di Cina e India, hanno detto che con un 2% di crescita dei consumi si sarebbe raggiunto il picco nel 2037. Negli ultimi sette anni alcuni dei principali geologi del mondo hanno fatto nuovi studi secondo i quali il picco verrebbe raggiunto nel 2010-2020. Non so chi abbia ragione nelle date, gli ottimisti o i pessimisti, ma stanno discutendo di differenze di 10-15 anni. Una finestra molto piccola per risolvere il problema energetico del mondo e creare una nuova infrastruttura per un nuovo regime energetico”.

C’è anche il grande tema del cambiamento climatico…
“Certamente. Basta chiedere alla gente a Huston, in Texas che cosa significa il cambiamento climatico. Abbiamo l’uragano Ike, dopo Catrina e tutti gli altri. Abbiamo avuto danni per miliardi di dollari. Non si tratta di un discorso accademico. L’anno scorso negli Usa è stato fatto un rapporto di valutazione sul cambiamento climatico dicendo: ci troviamo in una fase di mutamento climatico indotto dall’uomo. Per tanti anni ci siamo tutti sbagliati continuando a sottovalutare la velocità e l’accelerazione del cambiamento climatico. Eravamo tutti troppo ottimisti. Solo 5 anni fa si diceva che i ghiacciai si sarebbero scomparsi nel 22° secolo. Ma secondo il nuovo rapporto i ghiacciai si stanno sciogliendo adesso all’inizio del 21° secolo. Una persona su sei, nel mondo, vive nelle valli dipendendo dall’acqua d’irrigazione proveniente dai ghiacciai. Vediamo gli orsi polari che annegano, per la prima volta vediamo acque aperte nell’Artico. Gli scienziati parlano di un aumento di tre gradi in questo secolo: questo ci porta alla temperatura terrestre di tre milioni di anni fa. Basta un aumento di 2-3 gradi per rischiare l’estinzione del 70% di tutte le specie di piante e animali nel pianeta. Abbiamo avuto solo 5 estinzioni biologiche in 450 milioni di vita del pianeta e dopo ogni volta ci sono voluti 10 milioni di anni per recuperare la biodiversità”.

Di fronte a questo scenario che fare?
“Ci serve un progetto. Una nuova visione economica che sia abbastanza potente da affrontare queste crisi. L’Unione europea si è impegnata ad avere il 30% di energia rinnovabile entro il 2020. Il problema, però, è: come immagazziniamo questa energia? Non possiamo basare tutta l’industria sull’energia solare o l’eolico. Pensiamo pero che tutti gli edifici, tutte le case, i centri commerciali, gli alberghi possono diventare essi stessi impianti che producono energia e che raccolgano energia. Io parlo di una rivoluzione per il futuro che già molte aziende stanno facendo. In Spagna, ad esempio, la grande azienda Acciona ha un nuovo edificio, innovativo dal punto di vista architettonico, che è posizionato rispetto al sole in modo da poter raccogliere tutta l’energia possibile. Il suo costo energetico si ripagherà in una decina di anni. La General Motors ha la sua fabbrica più grande in Spagna e tre anni fa ha fatto un accordo con un’azienda francese e stanno mettendo dei pannelli solari sul tetto: il più grande impianto solare del mondo, costerà 78 milioni di dollari e produrrà 10 megawatt e fornirà abbastanza energia a 4600 case. Quanto ci vorrà per ripagarlo? Dieci anni”.

E questo sarà sufficiente?
“No. Bisogna immagazzinare l’energia in forma di idrogeno, perché il sole non c’è tutti i giorni, il vento non soffia sempre. Per questo si deve immagazzinare quando ciò è possibile e l’eccedenza si può usare per creare idrogeno e poi convertirlo in elettricità. Si passa quindi all’energia distribuita, che si trova dappertutto. Una sorta di rete come internet. Prendiamo la rete elettrica italiana, europea, del mondo e nei prossimi 25 anni e la trasformiamo in una rete che funziona proprio come Internet, distribuita e intelligente. Condividere le eccedenze con altri attraverso una rete che può collegare tutta l’Europa. Abbiamo già una rete “intelligente” a Bruxelles che collega importanti aziende energetiche. Ne stiamo progettando altre in Texas, in Colorado, in California. Questa è la più grande democratizzazione dell’energia della prima rivoluzione industriale”.

>> La scheda: 'Chi è Jeremy Rifkin'