Atlante delle crisi


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Oltre 2 milioni e 700 mila gli sfollati in Darfur, più della metà sono bambini

A colloquio con il direttore dei programmi dell’Unicef Italia , Donata Lodi bambini_darfour_296

di Bianca Biancastri
 
“La situazione in Darfur  è pesantissima. Le persone colpite dalle conseguenze di questa guerra sono oltre 2 milioni  e settecentomila sfollati, e di questi più della metà sono bambini. I minori di 5 anni,che sono la fascia di popolazione più a rischio, sono oltre 690 mila”. Il direttore dei programmi dell’Unicef Italia,  Donata Lodi,  parla della crisi umanitaria nella martoriata regione del Sudan. “Siamo riusciti a contenere i danni della crisi alimentare nel 2007”,  nonostante la situazione impedisca l’arrivo di aiuti e la coltivazione della terra in molte aree.  “La malnutrizione resta la preoccupazione principale, ma i rischi continuano ad esserci anche per l’aspetto sanitario. Questa situazione di insicurezza cronica rende impossibili interventi a medio e lungo periodo che  permettono un vero miglioramento delle condizioni della popolazione”. “Le notizie di nuove violenze contro la popolazione civile sono continue. Sono passati due anni e mezzo dalla firma dell’accordo di pace ma il fatto che le spaccature interne ai movimenti dei ribelli abbia impedito l’applicazione dell’accordo crea una conflittualità permanente e spesso è molto difficile capire dove si concentrano gli scontri. Nell’ultimo anno abbiamo avuto sempre più notizie di villaggi distrutti, di donne stuprate”. I rischi sono forti anche  per gli operatori umanitari. “Nel 2008 ne sono stati uccisi 11,  24 sono rimasti feriti,  170 sono stati rapiti, gli operatori dell’Unicef sono rimasti coinvolti in tre incidenti gravi”.
 
Quanti sono i bambini-soldato in questa regione del Sudan?
 “Secondo le stime dell’Unicef, il numero dei bambini-soldato è in lieve calo. Si parla ora di 4.500 bambini-soldato rispetto ai 7.000 del 2006, che resta comunque un dato spaventoso perché nessun bambino dovrebbe essere associato a gruppi combattenti”. 
 
La nuova tregua unilaterale proclamata dal presidente sudanese può essere considerata un passo positivo verso la pace?
 “E’ senz’altro comunque un passo positivo, certamente occorre però che ci sia l’accordo delle diverse parti in conflitto e soprattutto occorre che quello che viene proclamato in linea di principio sia realmente rispettato sul terreno. Qui parliamo infatti, sia per quanto riguarda le forze ribelli sia per quanto riguarda le forze governative o para-governative, di bande armate che rispondono soltanto alle loro logiche”.
 
Cosa può fare la comunità internazionale, che ancora non ha fatto, per la popolazione in Darfur?
 “La comunità internazionale dovrebbe credere un po’ di più nella possibilità di pace in Darfur e non delegare tutto alle forze sul terreno ma agire per  un’offensiva diplomatica a livello internazionale per  promuovere l’accordo di pace perché se questa iniziativa avviene su diversi fronti sicuramente dei risultati si possono ottenere. Serve anche che la comunità internazionale metta un po’  più di risorse a sostegno dell’intervento umanitario perché l’intervento umanitario è quello che crea le condizioni di reinsediamento delle popolazioni,  di stabilizzazione”. Nonostante si parli della situazione in Darfur, “i fondi stanziati non sono sufficienti: l’anno scorso l’Unicef ha ricevuto solo poco più della metà dei fondi necessari”.
 
 
“Per sopperire alla carenza dei fondi internazionali l’Unicef ha proposto ai donatori privati italiani di sostenere anche, come se fosse un progetto specifico, il lavoro di emergenza in Darfur e in Sudan meridionale,dove c’è ora una relativa pace ma dove rischiamo una nuova crisi in mancanza di aiuti alla popolazione civile”.  

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