di Emanuela Gialli
A volte spedire satelliti nello spazio e collocarli nei punti giusti non è così facile come potrebbe far supporre la pletora di strumenti tecnologici, altamente sofisticati, a disposizione. Avere un vettore che porta con sé i satelliti o altri assimilati e li mette proprio lì dove è necessario che siano è una comodità non di poco conto, per i privati che hanno interesse in questo tipo di attività.
Questa “comodità” c’è e si chiama Vega, Vettore Europeo di Generazione Avanzata. Verrà lanciato il 9 febbraio dalla Guyana francese. Dovrà posizionare quattro satelliti, tra cui alcuni italiani, come Lares. Vega si va ad aggiungere agli altri lanciatori-cargo dell’Agenzia Spaziale Europea, che sono Arianne e Soyuz.
I lanciatori spaziali sono il risultato di una politica scientifica avviata dall’italiano Luigi Broglio, generale dell’Aeronautica Militare, nel 1962, anno del Progetto San Marco, il primo programma di sperimentazione nello Spazio, firmato da Stati Uniti e Italia, e portata avanti dal Edoardo Amaldi, uno dei Ragazzi di Via Panisperna. Lo scopo era quello di garantire all’Europa un accesso indipendente allo Spazio, rispetto agli altri blocchi mondiali, come Russia, Stati Uniti e Cina, operanti nel settore. Vi era poi anche un’esigenza strategica di mantenere il “controllo” del lanciatore, in spazi ancora non esplorati. Broglio era un purista della ricerca, voleva cioè che le iniziative restassero in ambito universitario. Amaldi aveva una visione più internazionale, che lo portò nel 1975 a gettare le basi dell’Agenzia Spaziale Europea.
Broglio collaborò anche con Carlo Buongiorno. Con lui curò la nascita e la costruzione della base italiana nelle acque dell’Oceano Indiano, davanti alle coste del Keya, e con lui fu l’artefice del lancio del primo satellite italiano San Marco-1 nel dicembre 1964, facendo salire l’Italia al terzo posto dopo l’Unione Sovietica e Stati Uniti, come nazione con un satellite in orbita.
Dopo cinquant’anni, arriva Vega.
Vega può trasportare carichi tra i 300 e i 2000 kg, in orbite basse o polari. Ha un corpo singolo a quattro motori (stadi). E’ alto 30 metri, con un diametro massimo di circa 3 e un peso al decollo di 137 tonnellate. E ha un’ogiva, che serve da “portabagagli”.
Il progetto è stato avviato nel 1998. Il programma è dell’ESA, Agenzia Spaziale Europea, ma l’Italia lo finanzia per il 63%, con la ELV, società partecipata da Avio, al 70%, e ASI, Agenzia Spaziale Italiana, al 30%, che agisce in qualità di Primo Contraente industriale. Partecipano però, in ordine di entità del contributo, anche Francia Belgio, Olanda, Spagna e Svizzera.
Adesso, tra il 9 e il 14 febbraio, il primo volo operativo, per trasportare Lares, il satellite, italiano, fatto interamente di titanio e specchi riflettenti, grande quanto un pallone da basket, ma con un peso di 387 kg. Dovrà misurare la distorsione spazio-temporale indotta dalla rotazione terrestre. In che modo? Attraverso il riflesso –ecco a cosa servono gli specchi- di raggi laser, sparati dalla Terra. Con Lares, altri piccoli satelliti, chiamati Cubesat, chiusi in scatole separate, progettati da varie università italiane, tra cui quella di Bologna.
Vega è un lanciatore, piccolo, secondo gli esperti: tre stadi sono alimentati con propellente solido e uno a propulsione liquida, con capacità di riaccensione multipla.
E’ costato 700 milioni di euro. I privati che vogliono utilizzarlo per spedire satelliti in orbita devono pagare 30 milioni per ogni lancio. Da considerare che il lanciatore parte, “sgancia” i satelliti e poi non torna più. Si distrugge nello Spazio. Come si articola allora il piano di rientri?
Le risposte nelle interviste al Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Enrico Saggese, e al Generale dell’Aeronautica Militare, Lucio Bianchi.
> Intervista al presidente dell'Agenzia Spaziale Italiana: 'In Europa ad armi pari'
> Intervista al Generale dell'Aeronautica Militare, Lucio Bianchi: 'Vega, missile che sgancia satelliti'