di Nello Di Costanzo
“Dal 2008 al 2011, 190mila aziende in Italia hanno chiuso i battenti per debiti o usura”. E' quanto rileva il rapporto “Le mani della criminalità sulle imprese”, redatto da “SOS Impresa”, l'associazione di Confesercenti nata a Palermo nel 1991, dopo l'omicidio di Libero Grassi, su iniziativa di un gruppo di commercianti per difendere le loro attività dal racket della criminalità organizzata. Secondo il rapporto sono 40mila i soggetti che nel nostro Paese prestano soldi a strozzo, un business di circa 20 miliardi di euro. Raddoppiati negli ultimi due anni, da quando è iniziata la crisi. Nelle mani degli strozzini soprattutto i commercianti, quasi 200mila. Un numero enorme. Il tasso d'interesse chiesto dagli usurai al mese è del 10-12% e arriva fino al 130-150% l'anno.
“ Purtroppo la crisi – spiega Lino Busà, presidente di SOS Impresa, a Televideo Rai – ha fatto abbassare notevolmente i consumi e l'emergenza finanziaria per molti si è fatta impellente. Succede, quindi, che pur di non chiudere la classica bottega, a un imprenditore, magari già indebitato con le banche, non resta altro da fare che rivolgersi agli usurai per far fronte alle necessità economiche”. “Oggi vige da parte degli istituti di credito – continua Busà - una stretta creditizia, il cosiddetto credit crunch, molto forte. Per cui se un titolare di un'azienda deve fare un investimento, magari ci rinuncia perché le banche in questo periodo difficilmente finanziano. Ma se deve pagare un fornitore o una cartella esattoriale, tanto per fare un esempio, e ha già il conto in banca in rosso ed è chiamato a rientrare deve per forza di cose cercare i soldi altrove”.
La stretta creditizia, intanto, sta soffocando le aziende italiane. “Le domande di finanziamento presentate dalle Pmi (Piccole e medie imprese) e respinte dagli istituti di credito nell'ultimo anno si sono quadruplicate”, denuncia la Confapi (Confederazione italiana della piccola e media industria privata).
Spiega Paolo Galassi, presidente di Confapi Milano: ''Lo sviluppo delle Pmi sarà rallentato fino a quando il sistema bancario non farà il suo mestiere. Dalle aziende giunge sempre più la richiesta pressante di un miglioramento dell'accesso al credito visto come una delle chiavi risolutrici per dare nuova linfa alla competitività dell'industria". Poi la denuncia: “Le banche ormai non finanziano nemmeno le imprese che hanno in cassa ordini e lettere di credito”.
E come se non bastasse il taglio dell’agenzia Standard & Poor’s che ha applicato un taglio del rating di due gradini all’Italia, portandolo sotto la A, potrebbe dare il colpo di grazia al sistema produttivo nazionale: ottenere liquidità dalle banche rischia, infatti, di diventare ancora più difficile, per di più in un momento che già vede soprattutto le Pmi alle prese con tassi di finanziamento particolarmente onerosi. Secondo i dati forniti dagli esperti sulle prime sette banche italiane, i prestiti a tre anni hanno tassi effettivi che costano in media il 7%. E a sopportare il peso di gran lunga maggiore sono le piccole imprese, per le quali i tassi oscillano fra il 6,5 e il 10,5%. Le cifre sono invece un po’ migliori, pur rimanendo i costi elevati, per le aziende di medie dimensioni, per cui si va da un minimo del 4,16% a un massimo del 6,8%.
L’allarme credit crunch arriva anche dalla Confagricoltura, secondo la quale “le banche preferiscono depositare il denaro alla Bce (Banca centrale europea) piuttosto che indirizzarlo verso l'imprenditoria”. “Quasi il 60% dell’esposizione bancaria delle imprese agricole - spiega il presidente della Confagricoltura, Mario Guidi - è di breve periodo e c’è il rischio che gran parte delle somme debbano essere restituite alle banche alla scadenza, senza possibilità di essere rinnovate o consolidate con nuovi prestiti”. Insomma, un quadro a tinte fosche, sinonimo di recessione. “Perché senza un sistema creditizio adeguato non si consente alle imprese di essere competitive e di creare ricchezza e sviluppo, di contro invece si favorisce l’usura e la criminalità”, sottolinea il presidente di SOS Impresa, Lino Busà.