Diario dall’Afghanistan


Stampa

Mono, l'avamposto estremo del contingente italiano

Qui si vive in modo spartano e il rischio di attacchi è elevato colonnello_viel_afghanistan_296

di Fabrizio de Jorio

Se non ci fosse Mono, le cose forse sarebbero ancor più complicate dal punto di vista militare in Afghanistan, almeno nell'area del nord-ovest. Ha un nome inconsueto questo avamposto militare, eppure rappresenta il lembo di territorio afghano più lontano che ospita il contingente militare italiano, al quale è affidata la regione ovest, al confine con il Turkmenistan. Qui si vive in modo spartano e il rischio di attacchi è alto, come per gli altri tre Cop’s (Combat Outpost), Highlander, Croma e Victor, alle dipendenze dalla Task Force North italiana che ha base a Bala Murghab, (provincia di Badghis) a sua volta sotto la responsabilità del Regional Command West di Herat.

Mono, fondamentale per la coalizione internazionale Isaf, sorge a brevissima distanza dal confine turkmeno, in quota per consentire una costante osservazione in corrispondenza della 'Bronze Road', quella con andamento nord-sud che collega il valico di confine di Mari Chaq con Bala Murghab.

Realizzato interamente gli italiani, in questo avamposto vive un plotone di una trentina di militari (uomini e donne), con dotazione armata di tutto rispetto tecnologico. I militari italiani sono coadiuvati da personale dell'esercito afghano (ANA) con il quale i nostri militari lavorano in una prospettiva di transizione, secondo il piano Isaf

Questi 4 avamposti, Cromo, Highlander, Victoria e appunto, Mono, sono operativi per il pronto intervento in corrispondenza appunto delle principali vie che portano nella Valle del Murghab: l'itineriario 'Lithium', proveniente da est; l'itinerario Highway 1 proveniente da sud e va ad est dopo aver attraversato Bala Murghab, e l'itinerario 'Bronze', il più delicato. "COP Mono è fondamentale, indicato come 'strong point'", spiega il colonnello Luigi Viel, comandante del 151° Reggimento fanteria 'Sassari', al quale compete l'organizzazione, il coordinamento, la gestione di tutte le attività- comprese anche quelle non prettamente militari - della Task Force North nell'area dell'avamposto di Bala Murghab. Fondamentale perché "tutte le attività nel nord Afghanistan cominciano da qui. Mantenere questo punto - aggiunge Viel - è fondamentale per l'Isaf. Anche perché sappiamo che c'è contrabbando al confine turkmeno, questa è una zona di passaggio: è importante presidiarla, osservarla con attenzione". Che si tratti di un'area delicata lo testimonia anche il fatto che la transizione dall'Isaf all'ANA e all'ANFS (le forze di sicurezza afghane), la cui seconda fase è appena iniziata, si completerà solo tra 18 mesi, e non prima.

Per avere un'idea della situazione geografica e delle difficoltà logistiche, basti pensare che per arrivare da Herat - sede del Regional Command West, a Bala Murghab, sede della Task Force North, occorrono almeno 5-6 giorni per coprire con convoglio su strada la distanza di 175 km, oppure un volo di 75 minuti in elicottero (che atterra, scarica e riparte subito perché per ragioni di sicurezza non può sostare in area). I 12,5 km che separano Mono da Bala Murghab si percorrono in oltre due ore a bordo dei Lince. Ma solo se la strada è asciutta, perchè diversamente i tempi si dilatano. La marcia è lenta e attenta da parte del convoglio dei militari italiani, che scrutano tutt'intorno e subito fermano la colonna di mezzi non appena si nota il terreno smosso. Li forse potrebbe nascondersi uno Ied, un ordigno improvvisato. La colonna dei blindati Lince, sale in quota per rifornire il presidio e favorire il cambio turno, oltre che controllare il territorio. Dalla mia postazione a bordo di uno di questi blindati, bardato con elmo e giubbetto antiproiettili, vedo ai lati della strada molti afghani con i loro asinelli carichi di mercanzie o altro, che si spostano da un villaggio all'altro. Al passaggio dei Lince si fermano oppure osservano con curiosità, alcuni salutando i militari.

Il sorriso dei bambini afghani al passaggio dei militari italiani

I bambini sono invece più diretti: salutano, per qualche metro corrono - qualcuno anche scalzo, e la temperatura è vicina allo zero e comunque il terreno è accidentato - e più o meno affiancano la colonna, si portano la mano alla bocca facendo intendere che hanno fame. E sorridono, sorridono tanto, non mostrano delusione se non ricevono qualcosa. I mitraglieri dei blindati tengono d'occhio in particolare le motociclette, il mezzo più diffuso in Afghanistan, specie su queste strade tortuose, e prontamente fanno cenno ai motociclisti di bloccarsi quando incrociano la colonna; potranno ripartire solo quando l'ultimo mezzo del convoglio si sarà allontanato nella direzione opposta. Qualcuno fa finita di non capire, ma basta un gesto deciso con la mano del militare perchè il guidatore si blocchi. A Mono si fa “attività di osservazione, pattugliamento motorizzato e a piedi", spiega il capitano Fabio Arzu che comanda l’avamposto. Ma non solo attività militare: "Ci sono infatti frequenti contatti con le autorità locali, con gli “elder” i leader dei villaggi per capire cosa serva”.

Il tutto "sempre fatto in modo che la popolazione locale percepisca questo sostegno come proveniente dall'autorità afghana legittima con il supporto dell'Isaf". Al turno di guardia con osservazione costante di quell'area della 'Bronze road' ci sono Marco Podda e Valeria Urru, attenti a cogliere ogni movimento giù a valle. Dall'altra parte, su una cima più in alto, c'è un posto di osservazione dell'ANA, raggiungibile solo a piedi, e infatti in lontananza si vede un piccolo gruppo di militari, con al seguito un asinello da soma che porta i rifornimenti, che sale per dare il cambio agli altri. Una vita quasi da eremiti per gli italiani, qui a Mono, se non fosse per le linee telefoniche militari che alimentano i collegamenti con la Fob (base operativa avanzata) 'Columbus' di Bala Murghab.

Identico lavoro si svolge nelle altre COP (Croma, Victor e Highlander) e ancor più a Bala Murghab, il più grande dei sette distretti del Badghis, con 285mila abitanti a maggioranza di etnia Pashtun, quindi ci sono i tagiki, i turkmeni e gli uzbeki. Nell'avamposto ci sono 430 militari italiani, e poi nuclei afghani, statunitensi, anche con unità delle forze speciali scelte, in tutto un migliaio. Sono una settantina i punti di osservazione e vigilanza realizzati nel tempo e proprio dal primo gennaio sono scattate le operazioni 'invernali', con affidamento graduale della responsabilità alle forze di sicurezza afghane. Dal 2014, il contingente internazionale Isaf lascerà l’Afghanistan, ma sarà sostituito dal personale civile dei governo che fino ad ora hanno sostenuto la transizione ed aiutato a ricostruire il paese con i fondi della comunità internazionale.

"Tra i nostri obiettivi- spiega Viel- c’è quello di creare un ambiente sicuro per la popolazione e favorire lo sviluppo. In tre mesi di lavoro (da quando c'e' la brigata 'Sassari', ndr) l’area di sicurezza di nostra competenza al nord ella regione di Herat è stata più che raddoppiata". Oltre alla distribuzione di viveri alla popolazione e quella dell’assistenza sanitaria, dalla sede di Bala Murghab ci sono stati anche interventi finalizzati allo sviluppo, come la sistemazione di canali idrici, riparazioni di edifici scolastici e anche ad una clinica. Nell'ambito di migliorare la governance Viel incontra le autorità locali, gli elders, per favorire stabilità, sicurezza, sviluppo. “Nell'area nord gli insorti stanno cercando di frenare l'espansione dell'Isaf, ma senza successo visto che ormai- aggiunge Viel- siamo arrivati vicini al confine con il Turkmenistan. Gli insurgents tengono sotto pressione la popolazione, ma anche qui con scarsi risultati perchè la gente, quando può scegliere la parte governativa afghana e comunque parteggia con sempre maggior simpatia anche per la coalizione Isaf”. La minaccia maggiore è costituita dagli Ied: "I ribelli non sono in grado di attaccare una COP o un compound come Columbus, e allora cercano di sfruttare le opportunità secondarie che il territorio offre loro". In tre mesi gli uomini del 151° reggimento hanno bloccato 27 insurgents, sequestrato armi, munizioni ed esplosivi, e anche droga. "Il consenso della popolazione - conclude Viel - è sicuramente il termometro della situazione".

<<< TORNA ALLO SPECIALE