Diario dall’Afghanistan


Stampa

Radio Bayan, 'arma' speciale

Serve per raggiungere la popolazione locale radio_bayan_296

di Fabrizio de Jorio

Si chiama Radio Bayan, 88,5 FM. E' una "arma" in più per la coalizione dell'Isaf, meno invasiva ma molto efficace per contribuire a creare un clima di pacificazione e sviluppo in Afghanistan. E' la radio creata dalla stessa Isaf, ha sede principale a Kabul e redazioni sparse nelle principali città afghane, ovvero laddove ci sono i comandi regionali. Nel versante ovest, affidato al comando italiano (8000 militari, di cui 4200 italiani) e diretto in questo periodo dal generale Luciano Portolano, comandante della Brigata 'Sassari', Radio Bayan è a Herat, a Camp Arena. Trasmette dalle 7 alle 10 e dalle 16 alle 19, secondo una programmazione che in fatto di schema orario ricalca in qualche maniera la Testata giornalistica regionale Tgr della Rai.

Infatti da Kabul - che trasmette invece 24 ore su 24 - la linea viene lasciata in quelle due 'finestre' alle sedi dei comandi regionali, e nella stessa area della capitale in quelle ore di 'finestre' vanno in onda programmi in qualche maniera di rilevanza "locale". A Camp Arena di Herat il team di Radio Bayan è fatto di un piccolo nucleo diretto dal capitano Angelo Arcangeli: 5 giornalisti (tra cui il maggiore Pierpaolo De Salvo, della riserva selezionata dell'Esercito), un paio di tecnici, un deputy chief radio e altri collaboratori.

Il palinsesto è fatto per il 60% di musica, per il 30 di contenuti diversi e per il 10 per cento di news. Queste trattano di salute, di agricoltura, di figure importanti della realtà afghana e territoriale, c'è lo sport e anche il meteo, sempre più seguito, e poi la questione femminile. "Nessuna notizia viene nascosta o 'mascherata' - precisa il maggiore De Salvo - se c'è un attentato o un attacco, come quello di ieri a Bala Murghab, la notizia viene data La parte tecnica per il funzionamento dell'emittente viene fornita dall'Esercito italiano e il progetto afghano si muove nel solco di quello avviato qualche anno fa in Kosovo e in Somalia, quando i contingenti italiani in azione in quelle realtà pensarono anche alla radio come strumento per "dialogare" con la popolazione e coinvolgerla in un passaggio dal conflitto armato alla ricerca della pacificazione.

L'attività è prettamente giornalistica e il palinsesto prevede la trasmissione sia in lingua Dari che in Pashtun. La musica è una molto seguita, specie dai giovani afghani: musica persiana, indiana, mentre quella occidentale è tagliata fuori. Molto seguitai anche i programmi che rimandano ai temi della salute o alle tematiche giovanili. "Pensiamo - spiegano Arcangeli e De Salvo - che la radio sia uno strumento molto interessante nel progetto che mira alla stabilizzazione del Paese e al suo sviluppo. Anche perché non dobbiamo pensare che l'Afghanistan sia a digiuno di tecnologia, tutt'altro. La realtà dei villaggi più lontani non è quella dominante, ci sono città dove internet e la tecnologia sono avanzate". Ma la radio è una parte di un progetto più ampio di dialogo con la popolazione che vede protagonista la struttura PsyOps, diretta dal tenente colonnello Giuseppe Manglaviti, del 28^ Reggimento 'Pavia' che dal 2005 opera ininterrottamente in Afghanistan in questo ambito.

A fare da guida sono lo stesso capitano Arcangeli e il capitano Valeria Serra, i quali spiegano che il lavoro consiste in primo luogo "nell'incrementare la percezione positiva del governo afghano presso la popolazione". La struttura interviene in supporto alla popolazione, forze di sicurezza, in programmi di reintegrazione degli 'insurgent', gli insorti.

La strategia di comunicazione passa per la divulgazione di "messaggi strutturati in modo che la popolazione possa agevolmente individuarli attraverso simboli ed immagini ben riconoscibili". Si tiene conto - nella messa a punto dei messaggi - degli aspetti culturali, "bisogna calarsi nella cultura afghana”, spiega il capitano Serra. Vengono realizzati video che poi sono trasmessi dalle tv locali, con immagini che rappresentano momenti di lavoro. Dietro questo c'è un team di lavoro specializzato (fatto di grafici, analisti che studiano l'aspetto culturale).

I video sono prodotti in lingua inglese e poi "passati" in lingua locale. Tra i video c'è ad esempio quello per la promozione del 119, il numero di emergenza afghano. "Certo, ci sono limiti operativi per le difficoltà di movimento all'interno del territorio afghano - aggiunge il capitano Serra – però si cerca di fronteggiarli"La coalizione ha formato gli insegnanti - viene aggiunto -, ora c'e' il tutoraggio. Sono gli istruttori afghani a insegnare. Il finanziamento e' autonomo, afghano, salvo interventi in caso di necessità dichiarata".

I messaggi alla popolazione sono disseminati a seconda del territorio. C'è, come detto, il 'face to face', confrontandosi con la gente; c'è l'impiego del loudspeakers, ovvero si va sul terreno e vengono trasmessi messaggi audio con tematiche che riguardano le forze di sicurezza, il governo, o se nei villaggi c'è da promuovere l'impiego del medico.

A riferire delle esigenze sono i team che operano sul territorio. Il capitolo donne? "Ci si arriva con una certa difficoltà- dicono il capitano Arcangeli e il capitano Serra -, e ora si sta addestrando personale femminile dell'esercito locale che possa approcciare la donna del posto".

Altro sistema è il 'leaflet airdrop', cioè il lancio, il 'bombardamento' di volantini, un metodo che ha il vantaggio di raggiungere le aree più impervie. Caratteristica di questi volantini è che vi dominano le immagini: l'analfabetismo è ancora diffuso in aree molto periferiche e allora l'immagine - no alle armi, no alla droga, no ai ribelli - parla più dello scritto. Ogni metodo viene pre-testato e si agisce in base alla risposta del campione. Se il campione testato mostra di aver acquisito il messaggio, allora la campagna parte. E un altro pezzo di Afghanistan viene restituito alla legalità e alla convivenza civile.

<<< TORNA ALLO SPECIALE