Italia, dal Pil al Bes


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Alla ricerca (della misura) della felicità

Con la crisi, scienziati e governanti cercano altri parametri per valutare benessere e sviluppo. In questi giorni a Parigi un incontro sulla 'sicurezza economica' b

di Monica Moretti

“Non possiamo misurare i successi del Paese sulla base del Prodotto interno lordo: il Pil misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”. Con la crisi economica, questa frase, pronunciata nell’ormai lontano 1968 da Robert Kennedy, torna di stretta attualità. E così, governi e scienziati si ingegnano per trovare nuovi parametri con cui valutare lo sviluppo, inteso in senso più ampio. Senza toccare l’estremo del Bhutan, dove dal 2008 il Pil è stato sostituito da Ghn (Gross National Happiness), ossia dalla felicità nazionale lorda, Canada, Australia, Gran Bretagna, Francia Germania e Italia hanno intrapreso programmi per arrivare a una misurazione del benessere nazionale.

Da noi Istat e Cnel hanno dato vita a un apposito comitato, che ha individuato i 12 domini del Bes, l’indice del Benessere equo e sostenibile: ambiente, salute, benessere economico, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, relazioni sociali, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ricerca e innovazione, qualità dei servizi, politica e istituzioni. Alcuni si sovrappongono a quelli già individuati dalla commissione Stiglitz e dall’Ocse come priorità nella misurazione del benessere, altri (patrimonio paesaggistico e culturale, ricerca e qualità dei servizi) sono specifici dell’Italia. “Bisogna integrare il Prodotto interno lordo con altri indicatori che descrivano la società nella sua interezza” ha spiegato il presidente Istat, Enrico Giovannini. “La misura del benessere non è un giochino, indica quale sarà il tipo di società che vogliamo costruire. E’ un tema di politica con la P maiuscola”.

A inizio novembre è cominciata una fase di consultazione pubblica aperta alla società civile (i singoli cittadini che vogliano contribuire lo possono fare attraverso il sito www.misuredelbenessere.it) per poter poi individuare gli indicatori statistici che arrivino a una misurazione concreta dei singoli domini. L’obiettivo è produrre, entro ottobre 2012, un rapporto che misuri il Bes, al pari di quanto già accade con il Pil. La conferma che la strada seguita è giusta arriva dai risultati di un sondaggio compiuto dall’Istat su 45mila persone. Indifferentemente, da Nord a Sud, uomini e donne, giovani e anziani concordano sul fatto che la salute viene al primo posto. Seguono la tranquillità per il futuro socio-economico dei propri figli e un lavoro dignitoso. Mentre il reddito occupa solo la quarta posizione, a pari merito con le buone relazioni con amici e parenti.

Il lavoro per arrivare a calcolare a livello mondiale il Bes è però ancora lungo. Entro la fine di novembre anche Eurostat diffonderà un rapporto sul benessere europeo. Mentre in questi giorni è in corso a Parigi una conferenza “Measuring well-being and progress: economic in security measurement” che mette a confronto i ricercatori che a livello mondiale lavorano sul tema della sicurezza economica. Un evento organizzato nell’ambito delle raccomandazioni della commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi dell’Ocse.

I risultati di queste misurazioni, tra l’altro, non sono scontati. “Non è affatto detto”, spiega per esempio Giovannini, che l’Italia, una delle economie più sviluppate in base al Pil, possa contare su cifre altrettanto positive in termini di Bes. “Su alcuni fronti stiamo certamente più avanti degli altri, come ad esempio sulla speranza di vita; sull’ambiente ci sono luci ed ombre; sulle relazioni interpersonali, che sono un altro elemento storicamente molto forte in questo Paese, ci sono segnali preoccupati di sfaldamento delle relazioni –dice Giovannini-. Vedremo alla fine”.

Sulla base del 5° Rapporto sulla coesione economica, sociale e territoriale, diffuso nel 2010 da Eurostat (ma con dati riferiti al 2007), l’Italia, con un Pil procapite in linea con la media europea (13° posto su 27), precipita nelle posizioni di coda se si analizza la soddisfazione di vita (18° posto) e soprattutto la felicità (23° posto a pari merito con la Romania, seguita solo da Portogallo, Lettonia, Bulgaria). “Una crescita delle attività economiche – si spiega nel rapporto – non sempre porta con sé migliori posti di lavoro. In alcuni paesi i benefici della crescita economica vanno agli alti redditi e alle imprese, mentre i redditi dei ceti medi crescono poco o addirittura diminuiscono. Inoltre la crescita economica può essere accompagnata da più ore di lavoro, più stress e da un peggioramento della qualità della vita”.

Del resto la crescita economica non sembra fare neppure la felicità dei Paesi in via di sviluppo, che pure partono da condizioni di vita molto inferiori a quelle italiane. Uno studio di un ricercatore della University of South California, Richard Easterlin, ha dimostrato che in Paesi come Cile, Cina e Corea del Sud, che negli ultimi due decenni hanno raddoppiato sia Pil che guadagno medio procapite, non c’è stato un corrispondente aumento della soddisfazione personale. Anzi, nelle prime due, si è addirittura assistito a un lieve calo degli indicatori della felicità. “Tutto questo – spiega Easterlin – ci dice che le politiche dovrebbero essere maggiormente concentrate sulle persone, in merito alla salute e alla vita familiare, più che nel solo aumento dei beni materiali”. Ed ecco dunque il vero nodo della questione: non tanto, o non solo, arrivare a una misurazione del benessere, quanto a politiche che, partendo da quei dati, riescano poi a migliorare la qualità delle vita dei singoli e delle comunità. Ma questa è la fase successiva.

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