Sono oltre 400 le tipologie di formaggi italiani, un patrimonio vastissimo di tradizioni regionali che meritano un corretto abbinamento con il vino. Non esiste in Italia un paese senza una produzione locale, il più delle volte con nomi e leggende. Molti di questi formaggi, dalla esigua produzione, sono andati via via scomparendo per colpa di una globalizzazione che richiede all’industria casearia prodotti in grande quantità e di facile consumo: caciottine dal pallido colore, prive di aromi e, ancor più grave, prive di sapore.
Un bassorilievo a Bagdad. Che il formaggio sia antichissimo è risaputo: un bassorilievo conservato a Bagdad testimonia della sua lavorazione e conoscenza già nel III millennio a.C. nella civiltà numerica. E come non ricordare Omero che descrisse la produzione di una sorta di giuncata da parte di Polifemo. Il “caseus” dei Greci e dei Romani, un po’ rustico, era molto diffuso e regolarmente consumato dai legionari e dagli atleti, dai ricchi e da quasi tutti i ceti sociali. Poteva consumarsi da solo, a volte profumato all’aglio, come protagonista assoluto di un pasto, o far parte di ricette molto più complesse come la patellam tirotaricam con uova, pesce e cervella. Nel 1477, non più “caseus” ma “formaticum”, fu redatto un catalogo ad opera di Pantaleone da Confienza, di molti formaggi conosciuti, con nomi diversi ma certamente gli stessi che ancor oggi troviamo nelle nostre tavole. Ruolo determinante nella diffusione del formaggio in Italia e in Europa lo ebbero le abbazie e i monaci benedettini grazie al decisivo impulso che diedero al pascolo e alla caseificazione. La coagulazione del latte è stata considerata un prodigio sin dall’epoca preistorica; immaginate poi lo stupore dell’uomo quando, aprendo (purtroppo andò così…) uno stomaco di animale lattante, vi trovò un primo tipo di formaggio, una sorta di quello che ancora oggi si produce in piccola quantità in Sardegna: il Callu de Cabreddu.
La scelta del latte. Per la produzione di qualsiasi tipologia di formaggio la scelta del latte è un fattore decisivo. La struttura del prodotto finale sarà condizionato dalla lavorazione ma soprattutto dalla maturazione e dalle modalità di affinamento. Infine il territorio di provenienza marca univocamente il gusto del formaggio ottenuto. Una piccola panoramica sulle diverse zone d’Italia ci aiuterà a capire meglio la nostra tradizione di caseificazione.
A Nord, dove è possibile trovare ampi pascoli, sono da sempre molto diffusi gli animali di grossa taglia come le vacche. Queste hanno l’esigenza primaria di avere a disposizione grandi spazi dove trovare notevoli quantità d’erba e ciò è possibile solo nei pascoli sconfinati di alcune zone settentrionali. Inoltre la natura dell’erba disponibile in certi alpeggi incide fortemente sul gusto finale conferendo sfumature erbacee, ammandorlate, addirittura aromatiche e floreali. Grazie poi alla temperatura più fredda tradizionalmente la lavorazione consente una diffusione produzione di formaggi a pasta molle e a pasta pressata, spesso stagionati in luoghi adatti come le grotte naturali, ricche di muffe. Anche gli erborinati, i più noti ed internazionali Blu, provengono da queste zone. Poiché alcune volte greggi di pecore o di capre si univano alle vacche nacque una produzione di formaggi a latte misto. Una parte del grasso del latte vaccino, inoltre, veniva utilizzata per la produzione di burro e l’aggiunta di latte di altri animali andava a ricostituire l’ammanco utile per i formaggi.
Al Centro-Sud e nella Sardegna dove non ci sono i grandi pascoli è molto diffusa la pecora, animale di antica tradizione, che non produce in estate, dal latte dal sapore caratteristico e unico. La temperatura più calda del Sud non permette una buona conservazione dei formaggi, per cui si è fatto strada e si è consolidato un tipo di lavorazione basato sulla cottura della pasta, che comprende anche la pasta filata.
Capre e bufale. La presenza delle capre sta aumentando nelle zone impraticabili di tutta Italia, dove nessun altro animale può arrivare; si sta quindi riscoprendo questo latte saporito – assente in inverno – e sviluppando un settore della caseificazione capace di donarci delle piccole opere d’arte (i francesi insegnano con i loro caprini). La bufala regna da secoli in una zona molto ristretta che va dall’Agro Pontino fino alla Campania. Anticamente presente anche in Maremma, ama l’acqua e i terreni paludosi e oggi la sua diffusione è in aumento.
Vernengo e maggengo. La reperibilità di alcuni tipi di latte varia durante l’anno; essendo legata alla disponibilità di erba fresca le caratteristiche organolettiche della stessa tipologia di formaggio varieranno a seconda della stagione e dell’alimentazione dell’animale. Con il termine Vernengo si indica quella categoria di formaggi provenienti da latte prodotto in inverno, quindi animali alimentati con fieno (sentore che si ritrova nel retrogusto dopo l’assaggio). Con il termine Maggengo si indica quella categoria di formaggi provenienti da latte prodotto nel periodo che va da aprile a settembre, quando l’alimentazione degli animali è basata sull’erba fresca. I formaggi risultano più saporiti e aromatici e si riscontra un aumento della presenza di grassi insaturi che svolgono un’azione positiva contro l’arteriosclerosi. Non solo il latte e la sua provenienza incidono sul gusto finale ma molto più determinanti risultano essere la scelta del caglio, più piccante e saporito se di pecora o capretto, e il luogo di affinamento e maturazione (grotte naturali, casere, cantine, fosse di tufo e botti).