Dal petrolio alle telecomunicazioni


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Le imprese italiane presenti in Libia

La 'mappa' della Camera di Commercio ItalAfrica Centrale petrolio_trivella_296

Dal petrolio alle telecomunicazioni, passando per le costruzioni e i trasporti. Questi alcuni dei settori, secondo la Camera di Commercio ItalAfrica Centrale, in cui operano le circa 130 aziende italiane presenti in Libia già prima dello scoppio della guerra.

Secondo i dati della Camera di Commercio, infatti, le grandi imprese italiane presenti in Libia operano soprattutto nei settori del petrolio e gas (Eni, Snam Progetti, Edison, Tecnimont, Saipem), delle costruzioni ed opere civili (Impregilo e Bonatti, poi Garboli-Conicos, Maltauro, Enterprise), della ingegneria (Techint e Technip), dei trasporti (Iveco, Calabrese, Tarros, gruppo Messina, Grimaldi, Alitalia), delle telecomunicazioni (Sirti e Telecom Italia), dei mangimi (Martini Silos e Mangimi); della meccanica industriale (Technofrigo - impianti refrigerazione e Ocrim - mulini); delle centrali termiche (Enel Power); dell'impiantistica (Tecnimont, Techint, Snam Progetti, Edison, Ava, Cosmi, Chimec, Technip, Gemmo). Sono presenti inoltre Telecom, Prismian Cables (ex Pirelli Cavi).

"In Libia - spiega Alfredo Cestari, presidente della Camera di Commercio ItalAfrica Centrale - le aziende italiane prima della guerra avevano in corso investimenti pluriennali per somme ingentissime, fino a un centinaio di miliardi di euro. Investimenti che si sono persi come anche i posti di lavoro delle diverse migliaia di nostri connazionali che operavano nel Paese, ma anche di quanti lavoravano dall'Italia esclusivamente per commesse libiche".

In assoluto il maggiore investitore nel Paese, riferisce la Camera di Commercio, è Eni, presente in Libia sin dal 1959 con le società Eni Oil e Eni Gas ed altre del gruppo operanti nel settore degli idrocarburi come Saipem, Snam Progetti (acquistata dalla prima). L'Eni aveva inoltre sottoscritto con il Governo-Gheddafi accordi per il rinnovo delle concessioni fino al 2045. Altro importante investitore e' Iveco (gruppo Fiat) presente con una societa' mista ed un impianto di assemblaggio di veicoli industriali.

Tra gli investimenti e le commesse ad aziende italiane dalla Libia spiccavano, secondo la Camera di Commercio, Finaset (trading edil procurement) attraverso la Cogel aveva ottenuto un contratto di alcune centinaia di milioni di euro per la ristrutturazione al centro di Tripoli di diverse costruzioni di origine italiana, di parte della Medina e del vecchio Monopolio dei tabacchi e la Italflex.

La Sirti, con la francese Alcatel, aveva chiuso un contratto per la fornitura e messa in opera di oltre 7.000 km di cavi di fibre ottiche per un importo globale di 161 milioni di euro (di cui 68 per Sirti). La Prysmian Cables & Systems di Milano (ex Pirelli Cavi) un contratto da 35 milioni di euro per la fornitura e posa di cavi a larga banda nella rete del Libya General Post and Telecommunications Company (GPTC). La Agusta-Westland aveva ottenuto il contratto per la fornitura di 10 elicotteri con relativi corsi di formazione ed assistenza post-vendita.

La Alenia Alemacchi un contratto di 3 milioni di euro per un programma di formazione e revisione dei sistemi di propulsioni su 12 aerei SF-260. Impregilo aveva ottenuto contratti per oltre 1 miliardo di euro per la costruzione di tre centri universitari, del nuovo Centro Congressi di Tripoli e per infrastrutture da realizzare a Tripoli e Misurata. La Trevi stava lavorando alla costruzione del nuovo Hotel Al Ghazala, al centro di Tripoli e di due centri commerciali. Le compagnie Tarros, Messina e Brointermed, gia operanti in Libia da circa 20 anni, hanno costituito un consorzio che, in alleanza con la locale Germa Shipping Agency, avrebbe dovuto costruire un terminale per Container su 150 mila metri quadri presso il porto di Tripoli (il costo dell'intero progetto si sarebbe aggirato sui 35/45 milioni di euro).

E ancora la società Cogel (GilafGroup) aveva ottenuto l'appalto per la ristrutturazione delle facciate di alcuni palazzi la cui architettura risale alla presenza italiana in Libia, vicini alla centralissima Piazza Verde: il Ministero delle Finanze e l'ex-tabaccheria o monopolio dei tabacchi, il castello di Tripoli che ospita il piu' importante museo della capitale, di un altra struttura che avrebbe dovuto trasformarsi in museo personale di Gheddafi, delle centralissime gallerie 'De Bono', 'Mariotti' e 'Aurora' e della Medina. Importo globale: diverse centinaia di milioni di euro.

Il Gruppo Eni aveva firmato con la 'Gheddafi Development Foundation' e la libica 'National Oil Corporation' (NOC) un accordo che prevedeva un investimento di ca. 150 milioni di dollari da spendere nei prossimi anni per progetti di natura sociale: formazione di ingegneri libici che dopo due anni di traning sarebbero stati assunti; costruzione di cliniche polispecialistiche e relative forniture di attrezzature ospedaliere; restauro di siti archeologici; restauro di scuole e progetti ambientali. La Ocrim aveva firmato un contratto per 150 milioni di euro per la costruzione di alcuni silos.

Infine 'l'autostrada dell'amicizia', chiesta da Gheddafi al Governo Italiano quale risarcimento finale per i danni subiti dalla colonizzazione italiana. I 1.700 km (da costruire in 20 anni) avrebbero dovuto congiungere Rass Ajdir a Imsaad, il confine con l'Egitto a quello con la Tunisia. La spesa prevista era di 3 miliardi di dollari.

Ad aggiudicarsi la gara da 125,5 milioni di euro per il servizio di 'advisor' fu il raggruppamento di imprese, ricorca la Camera di Commercio ItalAfrica Centrale, costituito da Anas (capofila) - Progetti Europa & Global - Talsocotec.