"E' come per l'Nba: se non c'e' la firma, non si parte". Demetrio Albertini, vicepresidente della Federcalcio eletto in quota Assocalciatori l'aveva detto appena mercoledi' scorso, facendo capire che la minaccia dello sciopero dei calciatori, e del campionato che potrebbe non cominciare nei tempi previsti, stavolta e' concreta.
Gli States, almeno nello sport, sono la patria dei 'duri e puri' del sindacato. Il football americano e' appena uscito da una lunga vertenza che aveva bloccato la stagione, rischiando di non far partire il nuovo campionato: cinque mesi di trattativa, e alla fine l'accordo per una vertenza soprattutto economica. Non da meno il baseball, che nel '95 si fermo' per 232 giorni per proteste contro i tetti salariali. Intervennero anche il Congresso, il presidente Clinton, un tribunale, ma tutto si sblocco' solo quando le parti trovarono l'intesa.
Quel che ancora non e' successo ai fenomeni del canestro a stelle e strisce. Per la Nba e' tempo di lockout, ovvero sospensione a oltranza: non si sa se e quando avra' inizio. Il nulla di fatto nelle trattative e' relativo all'accordo sul tetto complessivo delle retribuzioni. Nonostante il campionato di basket appena conclusosi sia stato tra i piu' seguiti della storia, le societa' della Nba lamentano perdite milionarie. Sostengono che gli stipendi dei giocatori sono troppo alti. Il 'salary cap' in vigore nella Lega fissa il tetto massimo a cui ogni societa' si deve attenere per gli stipendi dei suoi giocatori. Viene raggiunto attraverso una contrattazione a tre (proprietari, Nba e giocatori). Ogni anno il tetto varia: nel 2008-09 era stato di 58,7 milioni di dollari a franchigia, nella stagione successiva di 57,7, e nel 2010-'11 di 58,04 milioni.
I proprietari delle franchigie chiedono che l'ammontare complessivo degli stipendi sia tagliato di 700 milioni di dollari. Il sindacato dei giocatori ha replicato proponendone uno di 500 milioni. Inoltre i proprietari vogliono una nuova ripartizione dei guadagni relativi agli incassi al botteghino e ai diritti tv (oggi 57% a 43% in favore dei giocatori), ma i rappresentanti dei giocatori, tramite Derek Fisher dei L.A. Lakers non vanno oltre ad una ripartizione 50-50 degli introiti su biglietti e diritti tv, secondo loro fin troppo generosa. L'impasse e' totale, le trattative sono state interrotte e per ora non s'intravede una via d'uscita. Mai come questa volta la Nba e' a rischio.
Giovedi' scorso Billy Hunter, direttore esecutivo dell'associazione dei giocatori ha detto che "se dovessi scommettere, in questo momento direi cancellazione". Sembrano crederci anche alcuni giocatori che, per non rimanere inattivi, stanno prendendo in considerazione, nonostante i problemi di copertura assicurativa, l'ipotesi di giocare per un anno in Europa o in Cina. Deron Williams, playmaker dei Nets, ha firmato per il Besiktas che ora vorrebbe ingaggiare addirittura Kobe Bryant. Sasha Vujacic, fidanzato della tennista Maria Sharapova, si e' invece accordato con l'Efes Istanbul.
In passato la Nba si era fermata 13 anni fa, quando nella stagione 1998-1999 venne proclamato lo sciopero a luglio e non si gioco' fino al gennaio successivo. Il campionato di quell'anno dovette essere ridotto di ben 50 partite, con conseguenze inevitabili sul piano degli introiti televisivi.