Strage di Lockerbie


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Al Magrahi, da arresto a show rilascio

Unico detenuto attentato, liberato motivi umanitari fra polemiche magrahi_296

Da 23 anni si riparla di lui, periodicamente: l'ex agente libico Abdelbaset al Magrahi, che nel gennaio 2001 fu condannato in Scozia all'ergastolo per la strage di Lockerbie. Nella cittadina scozzese, il 21 dicembre 1988, precipitò un aereo della Pan Am su cui era esploso una bomba, un'azione attribuita ai servizi segreti libici. I morti furono 270, fra passeggeri e abitanti di Lockerbie, sulle cui case precipitò in piena notte il jet.

Storico oltre che controverso fu, ad esempio, il momento del rilascio di Al Megrahi, il 20 agosto 2009, ''per ragioni umanitarie''. Le autorità giudiziarie scozzesi sostennero che il detenuto, allora 59enne, fosse in fin di vita: un cancro alla prostata in fase termiane - si disse - non gli avrebbe concesso più di tre mesi di vita.

Il giorno dopo, l'attentatore fu accolto come un eroe dalla folla, in Libia: uno show che suscitò un fiume di polemiche su scala internazionale (si disse che la liberazione fosse stata ''barattata per interessi commerciali''). La circostanza scatenò indignate proteste dei familiari delle vittime. E ci fu uno strascico, nel dibattito sul caso, tempo dopo, con le dichiarazioni dell'allora ministro della giustizia britannico, Jack Straw, quando ammise che sulla scelta della liberazione avessero pesato gli interessi economici e commerciali della Gran Bretagna.

Di quella liberazione si è riparlato anche lo scorso febbraio, quando l'ex ministro della giustizia libico Mustafa Abdel-Jalil, passato agli insorti, ha confessato al Sunday Times che Magrahi ricattò lo stesso Gheddafi: se non avesse ottenuto il suo rilascio avrebbe parlato del coinvolgimento del colonnello nell'attentato.

Perché Al Magrahi fosse rinchiuso in una cella, c'erano voluti anni di trattative con i libici: fino all'approdo al cosiddetto ''accordo Lockerbie''. Nel marzo 1999 Muammar Gheddafi annunciò l'intenzione di consegnare l'agente per l'arresto. Il colonnello libico attribuì il ''merito'' della sua decisione a Nelson Mandela e al re saudita.

Il colonnello parlò di sfida morale per l'Onu, chiedendo che fossero a questo punto consegnati, per essere processati in Libia, i 10 responsabili del raid aereo Usa su Tripoli del 1986 in cui morì nel palazzo presidenziale la figlioletta adottiva di Gheddafi.

I riflettori su Magrahi non si spensero neppure durante la detenzione: risale al 2001 un'intervista che rilasciò dal carcere, quando all'improvviso iniziò una specie di sciopero della fame: ''Digiuno per essere vicino a Dio. Dio mi è testimone, sono innocente'', disse anche in quella occasione nel motivare la sua decisione.

Dopo il rilascio, poi, comparve davanti alle telecamere il 9 settembre 2009, per il decennale dell'Unione Africana: sembrò a tutti provato, su una sedia a rotelle, e una mascherina al volto. Un mese dopo, il 21 ottobre, si diffuse all'improvviso la notizia che fosse morto: smentita in pochi minuti dall'emittente televisiva che aveva dato la notizia. Oggi Al Magrahi è ancora vivo, come dimostrato dall'ultima immagine di una tv libica.