di Sandro Calice NAUTA
di Guido Pappadà. Italia 2011, drammatico (Iris Film)
David Coco, Luca Ward, Elena Di Cioccio, Massimo Andrei, Paolo Mazzarelli, Giovanni Esposito, Riccardo Zinna, Vincenzo Merolla, Monica Ward.
C’erano gli anni ’90, con “La profezia di Celestino”, la new age, un’idea di un diverso rapporto tra uomo e natura. Questo film, opera prima di Pappadà, regista televisivo ed esperto di digitale ed effetti speciali, parte da quelle suggestioni.
Bruno (Coco) è un antropologo e professore universitario che da quando è stato lasciato dalla moglie Sara si trascina apatico tra casa e università. E’ una telefonata di un vecchio amico, Paolo (Esposito), a scuoterlo: sull’isola di La Galite si è verificato uno straordinario fenomeno naturale, qualcosa che è avvenuto raramente nella storia dell’umanità, il segno inequivocabile che in quel luogo, in quella comunità, l’equilibrio tra Uomo e Natura è perfetto. Ottenuto un finanziamento dall’università, Bruno organizza immediatamente un equipaggio per La Galite. Davide (Ward) al timone di “Mariella”, la sua barca d’epoca, trasporterà Max (Andrei), il suo marinaio, Laura (Di Cioccio), una biologa, e Lorenzo (Mazzarelli), sub esperto di sport estremi. Cinque anime, cinque storie, un viaggio che cambierà il loro mondo.
“Nauta” è una buona opera prima, soprattutto dal punto di vista visivo, con tanta pregevole computer grafica e una splendida fotografia: una narrazione per immagini e colori decisamente suggestiva. Segnali incoraggianti e da incoraggiare per il cinema indipendente italiano. Per il resto, però, denuncia più di qualche fragilità. I cinque personaggi dovrebbero essere cinque archetipi, cinque esempi della società occidentale che l’esperienza di questo viaggio costringe a cambiare mentre interagiscono tra di loro e con la natura: ma al di là della bravura degli attori, sono delineati con troppa frettolosità. Il racconto oscilla tra il mistico, l’on the road e la commedia, ma troppo, senza prendere identità. I temi poi: sarebbe un film sul sogno e sul legame uomo-natura, ma la cosiddetta new age è un terreno scivoloso, dove il confine tra “filosofia” e banalità è labilissimo, e se uno non è allenato, è difficile vederlo.
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