di Maurizio IorioCowboy Junkies
The nomad series vol.2 – Demons
(Latent/Razor & Tie)
Il blues notturno dei canadesi Cowboy Junkies, che lavorano sempre sotto le righe e mai sopra, è da sempre un must per chi ama la musica da sottofondo, la colonna sonora da caminetto acceso e whisky d’annata, mentre fuori piove. Complice anche, o forse soprattutto, la voce morbida e suadente di Margo Timmins, l’unica donna della formazione, che vede schierati anche i suoi due fratelli Michael e Peter, oltre ad Alan Anton al basso. L’ultimo lavoro dei Junkies, e secondo di una quadrilogia, è interamente dedicato all’amico scomparso Vic Chestnut, disperato cantautore folk di Jacksonville, Florida, suicidatosi il giorno di Natale del 2009. “Demons”, nonostante contenga brani altrui, è forse l’album più bello dei Junkies da 10 anni a questa parte. Confrontarsi col materiale contorto e disperato di Chestnutt non è impresa facile. Eppure, fra fendenti di chitarra, divagazioni jazzy, suggestioni younghiane (Neil), visioni noir e reinvenzioni elettroacustiche, i fratelli Timmins dimostrano una passione ed un’abilità fuori dal comune, tali da trasformare un omaggio ad un amico scomparso in una vera e propria rivisitazione dell’arte (altrui). Anzi, tanto le canzoni di Chestnut erano di difficile digeribilità, quanto le stesse, rilette in chiave Junkies, riescono ad andar giù lisce come l’olio. Per chi ama li ama, una conferma, per chi non li conosce, una scoperta. The Decemberist
The king is dead
(Rough Trade/Capitol)
Portland, capitale dell’Oregon, non è mai stata città musicalmente molto prolifica. “Circondata” da zone ad alta gradazione rock, come la California a sud e Seattle a nord, non è riuscita a produrre un humus in grado di far sviluppare un adeguato panorama musicale. Per fortuna, a compensare parzialmente il vuoto, arrivano i Decemberist, una delle band più celebrate di questo scorcio del 2011. Già attiva con 5 album alle spalle, peraltro non eccezionali, la band del vocalist e compositore Colin Meloy si è riscattata con questo “The king is dead” che, pur senza far gridare al miracolo, è uno dei migliori lavori pubblicati negli Stati Uniti in questi ultimi mesi. Musica tipicamente americana, folk e Dylan, country e R.E.M. (Peter Buck in “Calamity Song”). Violini, fisarmoniche, bouzuki, pianoforte e steel guitar sono il parco strumenti utilizzato per riprodurre, quarant’anni dopo, il suono della Band. Con i dovuti aggiornamenti.