‘Il risultato migliore del decennio 2001-2011 è la libertà di espressione, che ha dato origine a una settantina di partiti alla ricerca del buon governo’, sottolinea Abdur-Rahman Hotaki, attivista impegnato nella difesa dei diritti umani e dell’ecologia. ‘Per noi è tuttavia inaccettabile che i 'signori della guerra', che ostacolano la democrazia,nei consessi internazionali siano ritenuti interlocutori per la pace nei consessi internazionali. La nostra società è spaccata a metà: da un lato, i fautori del processo democratico, dall’altro i suoi detrattori. Nutriamo comunque buone speranze sul fatto che i dirigenti afgani, con l'aiuto della società civile e della comunità internazionale, possano isolarli’.
Dopo il 2001 l'Afghanistan ha conosciuto un incremento esponenziale dei soggetti operanti nella società civile, ma la mancanza di comunicazione fa sì che le istituzioni ne ignorino le attività. ‘Il nostro lavoro è apprezzato in ambito locale, ma la mancanza di conoscenza ha portato a relazioni mediocri con il governo centrale’, osserva Barialai Omarzai, dell'Unità per la riabilitazione delle comunità. ‘Il governo deve capire che le 2.024 organizzazioni non sono 'fornitori di servizi'. Occorre attuare una strategia capace di migliorare il coordinamento e il dialogo tra Kabul e la periferia’.
‘Fino al 2001, abbiamo avuto solo una radio e un giornale guidati dai talebani. Oggi abbiamo 135 radio e 50 tv: la qualità e la quantità migliorano continuamente’, rimarca Najiba Ayubi, responsabile dello Steering Committee, che vede insieme 60 organizzazioni afgane. ‘Nessuno oggi può tappare la bocca ai media afgani, ma si può migliorare con l'esperienza. I media riconoscono il loro ruolo nella transizione, ma comincia a mancare il sostegno del governo. Per scongiurare il rischio che alcuni media finiscano nelle mani di Paesi o soggetti contrari alla pace, serve il sostegno della comunità internazionale’.
‘L’Afghanistan è uno storico crocevia di culture, che oggi come ieri risente delle crisi nei Paesi vicini’, nota Mir Ahmad Joyenda, responsabile della Fondazione per la Cultura e la società civile. ‘Il terrorismo nasce nei nostri Paesi confinanti, e dalle situazioni che vivono Iran e Pakistan dipende anche la nostra. Iran e Pakistan hanno investito in tv, radio, giornali, centri culturali e scuole afgane per continuare ad influenzarci. L'Afghanistan deve rimanere fuori dalle diatribe tra Washington, Islamabad e Teheran. Solo ritrovando il suo ruolo di 'ponte' per la regione potremo parlare di ripristina della democrazia e della vocazione del Paese’. ‘Oggi abbiamo una legge anti-violenza contro le donne (una volta gli uomini non erano perseguibili). Siamo presenti nel governo Karzai, negli Enti locali e in tutti i partiti’. Soraya Pakzad, esponente dell'Organizzazione 'Voce delle donne', riassume così i progressi compiuti dall'Afghanistan in materia di diritti delle donne. ‘Tutte le donne impegnate in attività sociali corrono comunque ancora seri rischi per la loro incolumità. Mancano programmi a lungo termine, alcuni progetti dopo 10 anni sono rimasti tali solo sulla carta. La situazione rimane critica nelle aree che sfuggono al controllo di Kabul’.
La società civile va inclusa soprattutto nel processo decisionale che formerà il quadro della giustizia futura. Ne è convinto Ahmad Seyar Lalee, di ‘Civil Society & Human Right Network’. ‘Ci sono leggi formali, leggi informali e decisioni del governo’, spiega. ‘Le leggi formali sono emanate secondo precise procedure,di cui Parlamento e presidente sono gli ultimi due gradini; le leggi informali variano a seconda delle regioni, e in genere si basano su religione e consuetudine. La società afgana oggi vuole uno Stato di diritto, che potrà forgiarsi con una conferenza nazionale sulla giustizia, che dia voce a tutte le realtà coinvolte’.
Mohammad Afzal Nuristani, rappresentante di Legal Aid Organization, ricorda il ruolo dei consigli e i tribunali locali nell’amministrazione della giustizia. ‘Le girghe e le shure sono istituzioni antiche e influenti. Un tempo dirimevano ogni controversia, avevano un ruolo giudiziario ma anche politico. Non si tratta di organi stabili, ma si formano per giudicare i casi uno per volta. I rapporti sociali, culturali e politici hanno subito gravi danni nei 30 anni ininterrotti di guerra. Ora si tratta di creare un Paese unitario, con leggi che vadano oltre le norme tribali, e che rispettino alcuni diritti fondamentali. In questo, i Paesi amici possono darci una mano’.
(R. F.)