Atlante delle crisi


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La ricostruzione afgana vista dai donatori

L’impegno italiano, l’esempio dell’Europa soldati_afghanistan_296

‘La ricostruzione civile è molto indietro, bisogna sostenere la società civile che per noi è una terza via, tra un governo che ha seri problemi di consenso e corruzione e i signori della guerra o i talebani’, dice a Televideo Emanuele Giordana, coordinatore della rete di ‘Afgana’. ‘Mettere insieme le due società civili, come facciamo noi, significa far sì che i progetti si basino sulle reali esigenze dei cittadini del posto. Il nostro progetto più ambizioso consiste nel creare a Kabul una casa della società civile, che sia un luogo fisico di aggregazione, con tanto di biblioteca, cinema, teatro, un luogo dove gli stranieri possano incontrare i rappresentanti della società civile nei progetti più diversi per il Paese.

‘L'Unione europea ha chiuso definitivamente una pagina della storia, una pagina fatta di conflitti e guerre, e oggi dimostra che vivere insieme nel rispetto di regole comuni è possibile’, osserva il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, invitando i partecipanti afgani a ‘far sì che le diversità diventino motivo di arricchimento. L'Afghanistan, con l'impegno civile dei suoi uomini e delle sue donne, può essere un ottimo laboratorio’. Mantica ha ricordato che il 2014 sarà una ‘tappa di verifica’, e che dopo il ritiro delle truppe l'Italia resterà nel Paese per addestrare le forze di sicurezza.

‘La Cooperazione italiana non ha mai fatto mancare il suo appoggio alla società civile, concetto che dovrebbe abbracciare anche il mondo accademico, le imprese, i media’. Così Elisabetta Belloni, responsabile della Cooperazione italiana. ‘Non siamo presenti solo a Herat, ma in tutto il Paese,perciò possiamo dialogare con realtà locali e con istituzioni centrali. E’ una fase delicata non solo per gli afgani, ma anche per noi Paesi donatori, che dovremo riorientare la nostra presenza militare a favore di un impegno civile. L'impegno finanziario deve perciò rimanere costante come lo è stato in questi anni. L'Afghanistan è una priorità, e tale deve rimanere’.

‘Transizione vuol dire trasferire agli afgani la sicurezza nel Paese, ma non solo. La riduzione della spesa militare deve tradursi in un aumento della spesa per lo sviluppo economico e sociale’, sostiene Staffan de Mistura, Alto rappresentante dell’Onu in Afghanistan. ‘Per uscire dal conflitto, serve un dialogo a 360°, che non può certo prescindere dai diritti umani. La società civile deve aiutarci a far sì che il governo aumenti gli sforzi contro la corruzione, e per la trasparenza delle istituzioni. Perciò essa deve avere un ruolo già a partire dalla Conferenza internazionale sull’Afghanistan, che si terrà a fine anno a Bonn‘.

(R. F.)