di Dario Moricone
In un tempo neanche tanto lontano un archeologo per scoprire una città o un tempio perso nell’oblio della storia aveva bisogno di un’attenta conoscenza delle fonti storiche, tanti tentativi sul campo e molta fortuna. Oggi dopo la scoperta di 17 nuove piramidi in Egitto effettuata grazie a un satellite, che orbita a 700 km di quota, annunciata in questi giorni dall’Università dell’Alabama, e rilanciata dalla Bbc, il mondo dell’archeologia è a un punto di svolta.
E’ da più di un anno che i ricercatori americani analizzano migliaia di foto scattate dal satellite utilizzando una lettura del terreno agli infrarossi che ha permesso di penetrare il terreno e “illuminare” le antiche costruzioni fatte di materiali molto più densi del terreno circostante.
Oltre alle 17 piramidi sono state individuate più di mille tombe e tremila insediamenti e i primi scavi “a colpo sicuro” stanno confermando le scoperte. La dottoressa Sarah Parcak, responsabile del gruppo di archeologi che da un anno lavora a questo progetto, a stento riesce a trattenere l’incredulità e la meraviglia per il gran numero di ritrovamenti effettuati.
“Abbiamo lavorato duramente su questo progetto – dice la Parcak – i dati arrivavano in continuazione, l’analisi e la conferma sul campo ci hanno impegnato tantissimo. Solo alla fine quando ho potuto fermarmi e ammirare tutto quello che avevamo scoperto, nella sua globalità, ho capito la portata del nostro lavoro. Scoprire una nuova piramide è un po’ il sogno di ogni archeologo”.
Il momento più eccitante per il team di archeologi è stato quando hanno iniziato a scavare a Tanis. “Abbiamo trovato una casa di 3000 anni fa e corrispondeva perfettamente all’immagine che il satellite ci aveva restituita. La prova concreta che questa tecnologia funziona”.
L’archeologia spaziale è la nuova frontiera della ricerca storica. “Tutti i nostri ritrovamenti ci mostrano come è stato facile per anni sottostimare la diffusione e la grandezza degli antichi insediamenti. Questi che abbiamo rilevato sono solo i siti più superficiali, ce ne sono verosimilmente migliaia che giacciono sotto i detriti che il Nilo ha accumulato nel corso dei secoli. Questo è solo l’inizio di un percorso più lungo” conclude sorridendo la dottoressa Parcak.