di Maria Vittoria De Matteis
Dai 45 ai 55 anni, single o in coppia, con 1 o due figli, laureato, sensibile alle tematiche sociali: questo l’identikit dell’italiano che sceglie di fare un turismo sostenibile e responsabile. Sostenibile in termini di vacanze naturalistiche, responsabile perché sono viaggi con valenza innanzitutto etno-antropologica. Chi ad un villaggio turistico standardizzato, ad animatori, sport e casinò preferisce immergersi nel tessuto sociale del Paese ospitante, appartiene al target in questione. E sono sempre di più le persone che, per conoscere davvero un posto, sfruttano il viaggio come occasione di scambio culturale. Si entra in contatto con le comunità locali, si visitano fabbriche, ospedali, istituzioni e non luoghi tipicamente deputati al turismo di massa, insomma: viaggi che fanno vivere empiricamente nel modo di essere dei popoli ospitanti.
“STESSI PRINCIPI DI VIAGGIO, DAL SUD DEL MONDO ALL’ITALIA”
Intervista a Maurizio Davolio, presidente AITR (Associazione Turismo Responsabile)
Cos’è il turismo responsabile?
Il modo di viaggiare in questione si caratterizza per la centralità degli interessi della comunità ospitante che accoglie i visitatori: al centro dello sviluppo turistico crediamo debba esserci la salvaguardia della sovranità della comunità locale, con le relative, positive ricadute economiche, sociali e occupazionali). Nel sud del mondo questo non accade perché gli introiti finiscono nelle tasche di altri soggetti (tour operator, compagnie aeree, catene alberghiere). Noi invertiamo questo fenomeno.
Un viaggio-tipo?
Parliamo di paesi come America meridionale Asia, Africa, dove si va per almeno 2-3 settimane in soggiorni che prevedono sempre incontri con la gente del luogo, alloggiando presso strutture ricettive gestite dalle famiglie residenti, e dove tutti i servizi (dalle guide, ai trasporti, ai ristoranti) vengono offerti dalla popolazione. Il percorso si configura come ‘lento’, con forti contenuti di conoscenza approfondita del territorio. Si torna arricchiti da questo genere di viaggio. Anche in un contesto ‘profit’ si può trovare questo tipo di proposte, e non c’è nulla di male se, nel panorama commerciale, si preferisce questo modo di viaggiare. Purchè si valuti bene l’offerta…
C’è speculazione anche in questo ambito?
Tutte le cose di moda possono orientare scelte di natura opportunistica. C’è una procedura molto complessa per aderire all’AITR, onde evitare che entrino a farne parte soggetti sbagliati. Rispetto e salvaguardia dell'ambiente e in particolare dell'ecosistema e della biodiversità, con minimizzazione dell'impatto ambientale delle strutture e delle attività legate al turismo; salvaguardia della cultura tradizionale delle popolazioni locali. Questi alcuni dei requisiti per accedere alla nostra rete.
Il nostro Paese è sensibile a questa forma di muoversi?
Nati per il sud del mondo, i princìpi che animano i nostri progetti hanno comunque una validità universale. Anche in Italia, tenendo conto degli aspetti identitari del territorio, si può fare del buon turismo, rispettoso dell’ecosistema e delle tradizioni. Nostri affiliati sono gli agriturismi sorti dai terreni confiscati alla delinquenza organizzata, gli alberghi diffusi (ovvero stanze disseminate nelle case dei borghi antichi), il turismo con i pescatori, strutture ricettive gestite da cooperative che prevedono l’inclusione sociale di categorie svantaggiate in veste di imprenditori di ostelli, alberghetti, ristoranti. Sensibilizzare la popolazione è un altro dei compiti statutari: edita dal Touring Club Italiano, è appena uscita una guida -a fumetti- di turismo responsabile rivolta ad una fascia adolescenziale.