I film del week end


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The Tree of Life

di Sandro Calice

THE TREE OF LIFE

di Terrence Malick. Usa 2011, drammatico (01 Distribution)
Sean Penn, Brad Pitt, Joanna Going, Fiona Shaw, Tom Townsend, Jessica Chastain, Jackson Hurst, Crystal Mantecon, Lisa Marie Newmyer, Pell James, Tamara Jolaine, Jennifer Sipes, Will Wallace
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A Cannes, dove è in concorso, “The tree of life” ha ricevuto fischi e applausi. Troppo semplice. Alla fine della visione di questo film, la prima reazione è un pensoso silenzio denso di energia.

Nella provincia del Texas degli anni ’50 il signor O’Brien (Pitt) ha una moglie meravigliosa e tre figli, un lavoro, una bella casa e una visione scura della vita, perché il mondo è un campo di battaglia dove solo i forti sopravvivono, ed è quello che deve insegnare ai figli, con autorità, addirittura violenza, anche se li ama. C’è la signora O’Brien (Chastain) che tiene in equilibrio tutto, pozzo d’amore e di pazienza al quale si dissetano tutti. Ma a Jack (da adulto, Sean Penn), il primogenito, non basta. Lui vuole somigliare a quel padre che odia, e ci dovrà fare i conti per tutta la vita. La storia è questa, vista da quaggiù. Perché se si alza lo sguardo, anche di poco, anche solo semplicemente seguendo i rami di quell’albero che papà ha piantato in giardino, si vede chiaramente che questa storia è solo uno degli infiniti centri di tutta la Storia e di tutte le vite, eternamente combattute tra Natura e Grazia.

Al suo quinto film in 40 anni, Malick ci regala un’opera intrisa di misticismo, che in alcuni passaggi pare quasi definitivo. Posto che ci troviamo di fronte a un pezzo di grande cinema, mai come questa volta, il giudizio resta sospeso, come il respiro ai titoli di coda, affidato alle sensibilità degli spettatori. I fatti però possiamo dirli. E i fatti sono che è potente la sensazione che si tratti di un’opera sinfonica suonata da grandi professionisti e diretta da un fuoriclasse. Ci sono momenti del film, che sono i più “difficili”, sicuramente affascinanti, probabilmente eccessivi nella loro perfezione, momenti dicevamo in cui il confine tra cinema e arte contemporanea (Bill Viola e dintorni) è labilissimo, ma specifico, preciso, originale, d’autore. Sono i momenti in cui Malick ci mostra come la vicenda degli O’Brien sia perfettamente inserita nella storia dell’Universo, facendoci viaggiare nello spazio e nel tempo, dall’inizio della vita sulla Terra alla morte del nostro Sole. Per girare questo, Malick si è affidato a maestri degli effetti speciali come Douglas Trumbull (“2001: Odissea nello spazio”, “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, “Blade Runner) e Dan Glass (“Matrix”). Un lavoro di oltre un anno, di studi di astronomia, scienze naturali, paleontologia, per effetti, però, dicono gli autori, realizzati solo per il 10-20% al computer e per il resto come nel cinema di una volta, con effetti ad acquerello e cineprese ad alta velocità. Vedrete le riprese di reazioni chimiche, fumi e colori, fluidi e polveri, bolle di latte che esplodono, e vi sembrerà di vedere l’universo. I fatti sono la fotografia (Lubezki), con la “fissazione” di Malick per la luce naturale e i suoi meravigliosi risultati. La macchina da presa, che segue le emozioni più che un ragionamento, senza mai perdere il filo. Il montaggio: cinque montatori per cucire un’opera della quale in fase di realizzazione solo Malick aveva chiaro il senso. La sceneggiatura: personaggi scolpiti da tre battute, a volte nemmeno quelle, senza far sentire il bisogno di “spiegazioni”. Attori, senza retorica, tutti bravissimi. Questo è. Un film difficile, probabilmente uno dei migliori tentativi di rappresentare l’irrapresentabile dai tempi di Kubrick, un film che potrà addirittura piacere “a pezzi”. Ma che sicuramente non si può liquidare conun fischio o un applauso.

 

s.calice@rai.it