di Giulia Artissi
Sono 443 i reattori nucleari attivi nel mondo, concentrati in 29 Paesi. 64 quelli in fase di costruzione. E spicca l’Europa, a quota 195. Sono 13 gli impianti stranieri che circondano l’Italia, che un quarto di secolo fa ha detto no al nucleare con il referendum del 1987. Tra i nostri vicini di casa, in primis la Francia con 58 centrali nucleari attive (59 prima della chiusura di Phenix). In Svizzera se ne contano 5, una in Slovenia, 8 in Spagna, 7 in Belgio, una in Olanda, 17 in Germania, 19 in Gran Bretagna. Aumentando ancora le distanze dai nostri confini, si rilevano 32 centrali in Russia (più altre 11 in costruzione), 15 in Ucraina (2 in costruzione), 10 in Svezia, 4 in Finlandia (più 1 in costruzione), 6 nella Repubblica Ceca, 4 in Slovacchia (più 2 in costruzione), 4 in Ungheria, 2 in Romania e due anche in cantiere in Bulgaria.
Alla Francia il primato per quanto attiene alla percentuale di energia prodotta da centrali nucleari: il nucleare copre circa il 76% del fabbisogno elettrico nazionale. A seguire la Slovacchia (54,4%), il Belgio (53,8%) e la Svezia (42%). Negli Stati Uniti le 104 centrali funzionanti producono il 20% dell’energia.
I reattori attivi hanno un’età media compresa fra i 24 e i 31 anni. Le centrali più vecchie, quelle di cosiddetta prima generazione (anni ’50-’60), sono state ormai smantellate (ne restano in funzione una o due a scopo sperimentale). Le centrali attualmente attive nel mondo sono di seconda generazione, in pista la terza, sfociata nella “terza generazione avanzata” che punta a fornire garanzie aggiuntive sulla sicurezza anche in modo indipendente dalle azioni degli operatori. All’orizzonte lo studio delle tecnologie per la “quarta generazione” che dovrebbe affrontare definitivamente il problema della gestione delle scorie. I reattori entrati in funzione più di 30 anni fa, come quelli della centrale giapponese di Fukushima, sono in tutto 152. Mentre sono 79 i reattori che hanno meno di 20 anni.
Per quanto riguarda la questione delle centrali nucleari “sul confine”, è da annotare la sentenza della Corte di Giustizia europea, nata da uno scontro tra Austria e Repubblica Ceca (l’Austria contro le centrali ceche situate sul confine che emetterebbero sostanze contaminanti che andrebbero poi sui campi agricoli). La sentenza stabilì in sostanza che un Paese, sia pure denuclearizzato, potrà sempre avere a 20 chilometri dal confine una centrale nucleare.
Il 20% dei reattori è in zone sismiche. Ma questo non è un problema per la World Nuclear Association, che riunisce i principali costruttori. Gli impianti, sostengono in un rapporto, “sono progettati per resistere al peggior sisma che si può verificare ragionevolmente nell’area”. Il recente incidente in Giappone ha comunque evidenziato la necessità di verifiche progettuali e di stress degli impianti, con parametri più stringenti rispetto a fenomeni naturali di tali proporzioni.
Tra gli incidenti più gravi prima di Fukushima , almeno quelli noti, sul gradino più alto della scala il disastro di Cernobyl nel 1986 . Conseguenze di ampio raggio e parziale fusione del nocciolo, ma senza vittime alla centrale Usa di Three Mile Island nel 1979. E ancora in Giappone, nel 1999, fuga di uranio a Tokaimura.