Il rapporto annuale di Amnesty International


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2010, anno importante per i diritti umani

Parla Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia

“A vedere semplicemente i numeri, il 2010 sembra essere stato un anno uguale a quello precedente. Si è torturato un po’ di meno. Si è messo a morte un po’ di più . Una libertà di espressione fortemente minacciata in almeno la metà dei Paesi del mondo. Però al di là di questi numeri, che rendono sempre di meno l’idea dello stato di salute dei diritti umani nel mondo, dobbiamo notare dei fatti importanti che sono intanto la sempre maggiore importanza dei diritti umani consacrata nella decisione del Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo , un segnale importante di attenzione del mondo verso i diritti umani in un Paese che ha fatto di tutto per sabotare questo proposito”.

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, traccia con Televideo il bilancio dell’ultimo anno nel campo dei diritti umani

“Di anno in anno ci sono sentenze giudiziarie che danno ragione alle lotte dei movimenti per i diritti umani. Il 2010 ha dimostrato che Davide può vincere contro Golia, perché ad esempio l’India è stata costretta a bloccare un progetto di una multinazionale in un territorio sacro nello stato di Orissa e sembrava un Davide completamente disarmato contro un Golia armatissimo e invece quel progetto è stato bloccato. Sempre in India, per la prima volta, è stata fatta qualche timida giustizia in favore delle vittime del disastro ambientale di Bhopal dopo più di mezzo secolo. Ci sono state importanti sentenze del tribunale per la ex Jugoslavia che hanno condannato i responsabili croati e serbi per i crimini commessi durante la guerra dei Balcani. Per quanto riguarda l’Italia, le due sentenze di appello sui fatti della caserma di Bolzaneto, che hanno confermato che qualcosa di grave accadde davvero nel 2001 a Genova, la sentenza d’appello sul sequestro di Abu Omar a Milano, che ha confermato che qualcosa di grave avvenne a Milano nel 2003. In America Latina, nonostante fossero passati decenni, sono stati mandati in prigione i responsabili di crimini gravi durante dittature o governi civili in Argentina, in Perù. Quindi, io vedo dei passi positivi e lo dico perché è bello constatare che la storia del movimento per i diritti umani si incrocia con la storia più grande che è quella del mondo, in cui vediamo che organizzare la mobilitazione rende, funziona, è efficace. Addirittura al punto che, se le persone si organizzano, hanno più potere delle persone che stanno al potere e questo lo stanno dimostrando i primi quattro mesi dell’anno nel mondo arabo”.

Abbiamo visto come siano stati importanti internet e i social media per il diritto di espressione durante le rivolte in Nord Africa e abbiamo visto che la repressione è passata anche attraverso la chiusura di alcuni di questi mezzi. Non sarebbero necessarie delle regole a livello internazionale?
“Sono d’accordissimo, i media coperti dal principio sacrosanto della libertà di espressione e di informazione devono comprendere anche i nuovi media. Deve essere chiaro che come è intollerabile chiudere un quotidiano, una televisione o una radio, è intollerabile anche fare hacke- raggio su un profilo face-book…La comunità internazionale su questo deve dotarsi di strumenti nuovi che riconoscano anche un fatto importante, cioè questa contaminazione fantastica che ad Amnesty piace moltissimo fra giornalismo e attivismo. Le rivolte nel mondo arabo hanno raccontato come i giornalisti usino le nuove tecnologie quando sono su un campo di battaglia e come questi mezzi di informazione diventino poi un riferimento importante per gli attivisti dei diritti umani, quindi un giornalismo che si fa attivismo per i diritti umani era quello che faceva Anna Politkovskaya in modo tradizionale. Però c’è una continuità tra quel lavoro lì, la sua verità e questo movimento di blogger. L’idea che a piazza Tahrir ci fosse il Media center e tutti andavano lì è una cosa fantastica”.

Che cosa possono fare i Paesi occidentali per il rispetto dei diritti umani in Nord Africa e Medioriente dove sono in corso le rivolte contro i regimi locali?
“Quando abbiamo apprezzato l’enfasi data dal Consiglio di Sicurezza Onu alla protezione dei civili abbiamo sperato e continuiamo ancora a sperare che questa comprendesse la predisposizione di corridoi umanitari in entrata e in uscita. In entrata per gli aiuti e in uscita per le persone. Proteggere i civili non vuol dire proteggerli solo in territorio libico e soltanto i libici. Vuol dire anche proteggere le persone che dalla Libia vogliono fuggire. Quindi il concetto di protezione dei civili si deve estendere a tutto il Mediterraneo in questo caso. E poi quello che sta succedendo a Misurata è grave, gravissimo, l’uso di mine anti-carro per impedire l’ingresso al porto, il lancio di bombe a grappolo da missili Grad Ed è ovviamente il pantano in cui si rischia di entrare perché poi, come tutti i commentatori dicono, la battaglia di Misurata è difficile vincerla in questo modo,. Su questo rimaniamo in sospeso chiedendo che ci sia ancora una forte pressione su ciò che resta dell’autorità libica perché cessi immediatamente questi crimini di guerra. Per il futuro c’è un po’ una cartina di tornasole per i governi europei, fare un po’ quello che hanno fatto adesso, politiche di cooperazione che siano basate sui diritti umani. E’ il modo migliore per far sì che i Paesi come la Tunisia e l’Egitto che si sono già liberati dalle dittature, la Libia, quando lo sarà, la Siria se lo sarà, lo Yemen, Bahrein, l’Iran, e tanti altri ancora…. per far chiudere pagina a questi Paesi dobbiamo chiuderla noi con le vecchie politiche di cooperazione su cui si è investito sulle violazioni dei diritti umani per avere sicurezza e stabilità. Siccome quello che stanno dicendo le persone in piazza è che sicurezza, stabilità e diritti umani vanno d’accordo, è su questi che dobbiamo investire. Un’europa che investa in diritti umani”.

Il punto sulla pena di morte...
“I dati mostrano una faccia della medaglia, non entrambe, nel 2010 ci sono state esecuzioni in 23 Paesi che è un numero lievemente più alto dell’anno precedente (18), perché la Bielorussia ha ripreso, perché Hamas a Gaza ha ripreso, Bahrein, Taiwan e un altro Paese che ora non ricordo, però è anche stato l’anno in cui il Gabon l’ha abolita, e l’anno in cui l’Illinois si è avviato a diventare abolizionista e l’anno in cui l’Onu ha adottato per la terza volta con una maggioranza ancora più ampia la risoluzione per la moratoria. Quindi dobbiamo anche vedere il 2010 come l’ultimo anno di un decennio in cui il mondo ha fatto passi straordinari verso l’abolizione della pena di morte. La domanda da qualche anno non è più se la pena di morte verrà abolita, ma quando verrà abolita, e comincia a intravvedersi una risposta, che è: presto”. (B.B.)