Aste senza crisi


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Capolavori per milionari

Opere d’arte vendute per migliaia di euro a

di Paola Cortese
paola.cortese@rai.it  

La crisi finanziaria galoppa, ma per le grandi aste internazionali i numeri restano da capogiro. Da Sotheby’s a New York il 10 maggio scorso la vendita di artisti contemporanei ha superato i 128 milioni di dollari: a guidare la top ten, il vecchio Warhol con oltre 31 milioni per sei pezzi. Non ha sfigurato l’Italia, con “Concetto spaziale” di Lucio Fontana, battuto a oltre 6 milioni di dollari. Non solo arte contemporanea: un multi-milionario, che probabilmente resterà anonimo, si aggiudicherà, il 17 maggio da Sotheby’s a Ginevra, la più preziosa tiara di diamanti e smeraldi mai messa all’asta: valore, tra i 5 e i 10 milioni di dollari.

Crisi o no, la verità è che per i capolavori dell’arte, antica, moderna o contemporanea, il compratore non mancherà mai. E forse le grandi aste sono la vera cartina al tornasole di una forbice sempre crescente tra ricchi e poveri. Mentre il mercato dei milionari si allarga anche geograficamente: “Nell’ultima asta di Milano un Morandi è stato acquistato al telefono con me per 900mila euro da un collezionista privato cinese – racconta Wanda Rotelli, di Sotheby’s – mi ha detto: ‘me lo regalo per il mio compleanno’”. E sono proprio i cinesi a cavalcare la ripresa dopo il tracollo dovuto alla crisi finanziaria del 2008. Un elettroshock: oggi il gigante asiatico è il primo paese al mondo nelle vendite all’asta e quattro artisti cinesi gravitano alle massime sfere del mercato dell’arte. Le case d’aste cinesi tallonano Sotheby’s e Christie’s, i due colossi sempre in gara per la conquista del primo posto. Nella top ten ormai ci sono sette case d’asta cinesi. I termometri del mercato sono Pechino, Hong Kong (dove Sotheby’s e Christie’s hanno aperto una sede), Shangai. E Pechino è ormai la seconda piazza alle spalle di New York. A aprile a Hong Kong Sotheby’s ha realizzato 447 milioni di dollari.

Per affrontare la crisi, spiega Wanda Rotelli, Sotheby’s ha fatto una scelta precisa: “La strategia per la qualità è stata decisa a New York sette anni fa. Selezione più stretta: mai in vendita opere a meno di 4.000 euro, 3.000 sterline o 5000 dollari. E’ un po’ come quando c’è la crisi nel mercato immobiliare: le case brutte non si vendono, quelle belle non hanno prezzo”. E non è soltanto una scelta speculativa: “I collezionisti traggono un piacere estetico dall’opera, anche se sanno che è il bene rifugio per eccellenza. Ma mentre gli investimenti finanziari possono finire nel nulla, al collezionista resta in mano, o in cassaforte, un oggetto bello”.

Certo, nessun comune mortale potrà mai appendersi a casa un Kounellis, un Boetti o un Tàpies di quelli che saranno messi all’asta, da Sotheby’s a Milano, il 25 e 26 maggio prossimo: le stime vanno dai 200 ai 600 mila euro. Ma c’è qualcuno che pensa anche allo stipendiato medio: Paolo Mozzo, ideatore di Artantide, vuole aiutare i non addetti ai lavori che vogliono farsi una piccola collezione: “Sul nostro portale, che archivia circa 5000 opere di 350 artisti, si possono consultare schede, biografie e quotazioni, si può acquistare online”, spiega. L’idea nasce dieci anni fa e è subito un boom: per quattro anni il fatturato raddoppia ogni anno. “Poi, nel 2008, il tracollo che ha colpito la classe media e quindi i nostri potenziali clienti, ma ora torniamo a crescere”. Aiutano iniziative come il Piano di accumulo del patrimonio artistico (Papa) grazie al quale si possono mettere a disposizione piccole cifre e costruire gradualmente una collezione. “Un cliente mi ha detto: mi si sbloccano tra qualche mese 20mila euro: invece di tenerli vincolati, li affido a voi – racconta Mozzo – il ritorno? Si può avere dal 10% al 50% ma su tempi lunghi, 5 o 6 anni. Il rischio c’è, per contro ti porti via un bene”.

“Il mercato dell’arte reagisce meglio di altri – dice Marilena Pirrelli, responsabile del portale arteconomy24 del Sole24ore – già sta risalendo ai prezzi del 2007. Certo, le gallerie hanno il fiato corto: soffre soprattutto la fascia di prezzo tra i 60 e i 70mila euro. E tra i galleristi più importanti a livello internazionale non ci sono italiani”. L’Italia poi ha delle difficoltà dovute alla normativa, che non favorisce gli scambi: “La norma della notifica – spiega Pirrelli – dà alle Sovrintendenze la possibilità di bloccare la circolazione all’estero di un’opera. Nelle intenzioni è una tutela delle opere che hanno almeno 50 anni, nella pratica è una statalizzazione dell’opera, che le sottrae il 30-40% del valore”. Arteconomy ha fatto una battaglia per ottenere un archivio pubblico dei beni notificati: “Il ministero dei beni culturali ci ha promesso che lo farà – dice Pirrelli – è una delle iniziative per la trasparenza del mercato portate avanti dalla nostra testata. In Italia c’è molto da fare: siamo un paese di storici dell’arte che aborrono il mercato, ma così si favorisce il nero”.