di Monica Moretti
“Noi siamo un’eccezione. In Italia, soprattutto nelle piccole associazioni, ci sono ancora forti pregiudizi nel confronti del fundraising”. Giuseppina Battain, direttore dell’ABC, Associazione per bambini chirugici del Burlo, è una dei 600 partecipanti al festival del Fundraising in corso dall’11 al 13 maggio a Castrocaro Terme. Grazie a una raccolta fondi strutturata e continuativa nel tempo (questo significa fundraising), che porta nelle casse dell’ABC dai 200mila ai 300mila euro all’anno, Giuseppina Battain, con la sua associazione di 30 volontari, ha aiutato dal 2006, anno della fondazione, centinaia di bambini, affetti da malformazioni, che necessitano di cure chirurgiche nell’ospedale pediatrico Burlo Garofolo di Trieste. “Supportiamo psicologicamente le famiglie, le alloggiamo gratuitamente presso una foresteria – racconta -, le aiutiamo, se serve, per le spese di viaggio, finanziamo la ricerca scientifica nella chirurgia pediatrica”. Ma quella dell’ABC è appunto un’eccezione. “In genere – spiegano gli organizzatori del festival del Fundraising – le associazioni raccolgono i soldi tra una ristretta cerchia di persone” e questo fa sì che il Terzo settore “fatichi a conquistarsi uno spazio che pure meriterebbe”.
Secondo gli ultimi dati Istat disponibili (rapporto 2005) in Italia le organizzazioni di volontariato sono circa 21mila. “Fino a 15 anni fa c’era il welfare di Stato e c’era la chiesa cattolica. Ora il welfare non c’è più. I ministri dicono che i soldi sono finiti - spiega Valerio Melandri, direttore del Master in fundraising dell’Università di Bologna e fondatore dell’Associazione festival del fundraising -. Con un processo di laicizzazione sono nate le associazioni non profit. Ma le associazioni non sanno come fare fundraising”.
Il 5 per mille donato dagli italiani attraverso la dichiarazioni dei redditi porta al non profit 400 milioni di euro all’anno (le donazioni sarebbero di 650 milioni ma il tetto di 400 milioni è fissato per legge, la restante parte va allo Stato, e il decreto Milleproroghe ha stabilito che per il 2011 100milioni siano vincolati alla sola lotta alla Sla). A questi soldi si aggiungono quelli delle donazioni private, quelli che il fundraising dovrebbe aiutare ad incrementare. “Ma l’Italia – dice Melandri – è ancora arretrata su questi temi . Basti pensare che annualmente la donazione media pro-capite degli italiani (5 per mille escluso, ndr) si aggira intorno ai 43 euro contro i 120 dei belgi, i 117 degli inglesi e degli irlandesi e i 74 dei francesi. Alla scarsa cultura filantropica si aggiungono una legislazione fiscale che non incentiva i grandi donatori e il mancato riconoscimento istituzionale del fundraiser come professionista centrale per il mondo del non profit”. Una realtà distante anni luce dagli Stati Uniti dove ogni anno vengono donati 356 miliardi di dollari e la tradizione è così radicata che ha donare è l’86% della popolazione, praticamente tutti, considerando che il 12% degli americani è sotto la soglia di povertà.
“In Italia le grandi associazioni sono ormai molto strutturate – spiega Sara Boschetti, responsabile raccolta fondi ricerca e sviluppo di Medici senza frontiere -. Raccogliamo fondi attraverso il direct-mailing (invio mirato di posta, ndr), l’on line, social network compresi , il face to face, e ci rivolgiamo alle aziende e ai grandi donatori ”. Medici senza frontiere ha venti persone che lavorano al fundraising. Dei 40milioni raccolti ogni anno dall’associazione, solo il 19% arriva dal 5 per mille. Il 72% è donato dai privati, il 7,4% dalle aziende, lo 0,8% dalle fondazioni e un residuo 0,4% dagli enti locali. Percentuali che si invertono se si guarda alle piccole associazioni, ossia alla maggior parte del grande mondo del non profit italiano.
“Molte piccole associazioni si affidano ai fondi pubblici – dice Giuseppina Battain – e adesso con i tagli agli enti locali hanno problemi di entrate. Solo chi è riuscito a diversificare, riesce a mantenere i progetti in atto. Non si capisce che attraverso il fundraising, non solo si raccolgono fondi ma si fa conoscere la propria associazione sul territorio, se ne comunicano la cultura, la mission, le finalità. Come Associazione per i bambini chirurgici del Burlo, noi ci affidiamo prevalentemente agli incontri personali, curiamo il contatto nel tempo con il donatore: persone fisiche, aziende, fondazioni, club service come Lions, Rotary, Frecce tricolori”.
Secondo Valerio Melandri, la scarsa diffusione del fundraising in Italia, soprattutto nelle piccole organizzazioni, dipende da un paradigma etico duro a morire: “Se spendi sei cattivo, se non spendi sei buono”. “Questo – spiega il professore – fa sì che i manager del non profit prendano stipendi di gran lunga inferiori a quelli dei loro colleghi del mondo profit, con il risultato che spesso scappano, sottraendo al terzo settore personale qualificato”. Inoltre porta a una comunicazione “sbagliata”: i donatori, invece di chiedere risultati, chiedono conto delle spese. “Come centro studi Philanthropy dell’Università di Bologna - racconta ancora Melandri - abbiamo fatto un’indagine scoprendo che il 76% degli italiani prima di donare chiede quanto dei soldi dati viene speso per il progetto, quanto nell’organizzazione. Mentre solo il 6% vuole sapere se il suo contributo avrà un effetto positivo. Come se comprando un paio di scarpe chiedessi quanto influisce sul costo finale lo stipendio della cassiera o l’affitto del negozio”. Quali soluzioni suggerisce il Festival del fundraising? “Le organizzazioni non profit e i giornali devono iniziare a parlare ai donatori non modo diverso – dice Melandri -. Inoltre deve essere istituito un sistema di valutazione dei risultati del volontariato, un problema mondiale, ma che da noi, in Italia, è più sentito visti i tagli”.