di Raffaella Miliacca
Il Salone del Libro raddoppia. Quest’anno, oltre ai tradizionali padiglioni del Lingotto, lo spazio espositivo occupa anche l’Oval, la struttura costruita per le Olimpiadi invernali del 2006.
Dal 12 al 16 maggio la manifestazione accoglie quasi 1.500 espositori, centinaia di incontri con gli autori e un corollario di eventi, appuntamenti, performance artistiche, tutti ispirati allo stesso filo conduttore, “Memoria. Il seme del futuro”, con uno sguardo particolare al 150° dell’Unità d’Italia. E snodo centrale di questa 24ma edizione è proprio la grande mostra dedicata alla nostra storia unitaria vista attraverso i libri, “1861-2011. L’Italia dei Libri”. Il percorso espositivo è diviso in cinque sezioni: i 150 Grandi Libri, i 15 Superlibri, i 15 Personaggi, gli Editori, i Fenomeni Editoriali.
La Russia è il Paese ospite d’onore ed è presente con circa cinquanta editori, oltre a traduttori, poeti, scrittori e critici. Qui la grandezza di un’antica tradizione letteraria si confronta con una letteratura nuova, spesso militante. Ospite speciale è la Palestina e sono presenti case editrici di Grecia, Perù e Romania. Tra gli appuntamenti collaudati del Salone torna Lingua Madre, lo spazio dedicato agli incroci linguistici e culturali e che quest’anno fa il punto sulle scritture italiane all’estero, ossia gli autori italiani che scrivono in una lingua di adozione.
Tante le occasioni, dunque, di lettura, dibattito, incontri e scoperte, in uno spazio che come abbiamo detto s’ingrandisce. In un momento di crisi economica, la scelta di espandere l’area espositiva rappresenta una sfida, una scommessa? Lo chiediamo a direttore del Salone, Ernesto Ferrero.
A mettere a tavola molti invitati con poche risorse siamo ormai abituati da 10 anni. Quest’anno poi non potevamo mancare un appuntamento importante come il 150° che onoriamo occupando per la prima volta l’Oval, il bellissimo padiglione Olimpico. L’Oval ospiterà la mostra “L’Italia dei libri” che vuole raccontare questi 150 anni attraverso i suoi autori e le opere più significative. Ne viene fuori un ritratto di famiglia molto suggestivo, ma anche sorprendente, un panorama che non ci aspettavamo e molto lusinghiero: la cultura e l’editoria italiana di questi 150 anni sono assolutamente di livello europeo, con grandi personalità, grandi opere. Possiamo essere orgogliosi di questi nostri antenati. L’Oval ospiterà inoltre 16 regioni italiane, l’arena di Lingua Madre, lo spazio ragazzi, il cosiddetto Bookstock Village. Il programma di quest’ultimo è stato curato da Andrea Bajani che ha coinvolto i ragazzi. Insieme hanno creato le 15 parole del futuro che saranno discusse nel Salone con alcuni grandi ospiti, come il magistrato Gratteri, il regista Martone, Bergonzoni, Daria Bignardi, i poeti Franco Loi, Patrizia Valduga.
Per il secondo anno consecutivo, il filo conduttore del Salone è la memoria, come ha già sottolineato legata in particolare ai 150 anni dell’Unità. Ma il titolo recita “Memoria. Il seme del futuro”. Come si coniugano questi due aspetti nel programma della manifestazione?
Passato e futuro sono sempre in relazione tra di loro. E’ vero, pensavamo di aver finito il nostro lavoro lo scorso anno, ma in questi mesi sono uscite tante nuove opere che hanno rivisitato la nostra storia recente. D’altra parte ogni generazione proprio questo deve fare, scrivere la propria storia e la storia è diversa per ogni generazione. A partire da questo torniamo a interrogarci sul futuro prossimo, su quello che ci attende in un contesto molto in movimento, molto complicato, ma anche molto affascinante. Dalla globalizzazione con tutti i suoi problemi, ai cambiamenti repentini del mondo islamico di cui non ci eravamo assolutamente accorti e poi tutti i problemi di casa nostra, il lavoro, il precariato, la scuola, la scienza.
La Russia è il Paese ospite d’onore. Che momento vive la letteratura russa?
E’ un momento delicato, un momento importante perché oggi più che mai in Russia la letteratura è la coscienza critica di un Paese. Io credo che la Russia si trovi ad affrontare un duplice problema: fare i conti con il tragico passato del ‘900, ma soprattutto con i postumi di questa malattia che credo abbia cambiato e modificato profondamente i Russi, e non in bene. Questo lungo asservimento è diventato una specie di malattia morale che spinge anche sul presente. Si tratta di raccontare questo presente. E allora ci sono diverse strategie, da quella più prettamente realistica, al romanzo, all’inchiesta. Penso, per esempio, a una brava giornalista scrittrice, Julya Latinina, autrice di un romanzo ambientato in Cecenia che mi ha scioccato per le cose che racconta. C’è un altro bravissimo militante che si chiama Panjuskhin che racconta la vita dura dei dissidenti. C’è poi chi ha scelto altre strategie, cioè la deformazione vagamente grottesca, favolosa, surreale, tutti modi per raccontare questo presente difficile, in cui mi sembra che la maggioranza tenda a farsi i fatti suoi invece di interrogarsi su dove va questo Paese e soprattutto sul fatto che è in mano a un’oligarchia che non sta dando straordinarie prove.
E che dire dell’altro ospite speciale, la Palestina?
In tutti questi anni abbiamo avuto ospiti graditi gli scrittori palestinesi. Adesso questa partecipazione cade in un momento importante, in cui sembra che i due principali movimenti Hamas e Fatah si siano messi d’accordo per cercare di creare finalmente uno Stato atteso da 50 anni. Allora, a Torino, sarà proprio l’occasione per parlarne con storici e politici.
Visto dal Salone del Libro, qual è lo stato di salute dell’editoria?
L’editoria tiene, anche perché è sempre abituata a fare i conti con pochi soldi, con i tempi difficili, darwinianamente si è allenata e preparata. Mi sembra che, tutto sommato, tenga anche la lettura. E Torino è una dimostrazione, una conferma tra le tante che quando si dà una buona offerta culturale si hanno delle grandi risposte. Questo accade in tutta Italia con i festival, le mostre che si tengono. Si dice che questo Paese non legge, ma da qui sembra di essere in un Paese di grandi lettori. Questo pubblico compra selettivamente, va a frugare nei cataloghi grandi e piccoli, partecipa agli eventi dei cinque giorni. Credo che ci sia voglia di quelli che una volta si chiamavano “i valori”, le cose buone che ci aiutano a capire, ci fanno crescere e, soprattutto, ci aiutano a sperare di poter costruire insieme qualcosa di vero, che serva a tutti e non solo a qualcuno.