Giorno in memoria delle vittime del terrorismo


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'Il terrorismo nasce nell'ideologia'

Giornalisti, magistrati, dirigenti industriali colpiti perché nemici. Intervista al direttore di Libero, Maurizio Belpietro b

Vorrei farla tornare indietro a quegli anni, gli anni Settanta, gli “anni di piombo”. Come li ha vissuti allora e come continua a viverli oggi, come continuiamo tutti noi a viverli oggi?
Li ho vissuti come uno studente della scuola media. La prima notizia che ricordo, e che mi colpì, di quegli anni, essendo io bresciano, fu la strage di piazza della Loggia, in cui morirono molte persone durante una manifestazione. Ero un ragazzo e mi cominciai a chiedere cosa stesse succedendo in questo Paese. Perché non era certo normale che delle persone che si erano riunite per manifestare fossero uccise in quel modo, con una bomba messa in un cestino della spazzatura.

E chi le diede la prima spiegazione di quello che stava succedendo, a chi si rivolse?
Mi rivolsi soprattutto ai giornali, nel senso che cominciai a leggere forsennatamente, cosa che non facevo prima. In casa arrivava sempre un quotidiano locale, di Brescia, ma era forse insufficiente per capire. Cominciai a leggere i settimanali e i quotidiani nazionali di varia ispirazione per comprendere cosa stesse accadendo. Certo, non erano anni facili. Da lì in poi fu un susseguirsi di episodi di violenza di tutti i tipi, attentati, persone uccise in strada, scontri tra polizia e manifestanti, gente che andava armata alle manifestazioni per protestare, lanciava bombe e sparava addirittura sui poliziotti.

Lei oggi riesce a dare una giustificazione, tra virgolette, o comunque a indicare la ragione di fondo di quella “strategia della tensione”.
Io innanzitutto diffido della definizione “strategia della tensione”. Perché la strategia della tensione origina dal fatto che degli apparati dello Stato avrebbero organizzato tutto ciò per la conservazione del potere. In realtà, io non credo assolutamente che c’entri la strategia della tensione. C’entra invece l’ideologia, che è sfuggita di mano a qualcuno che l’aveva utilizzata in nome della battaglia politica e che ha caricato i toni, ha fatto credere che in Italia fossimo sull’orlo di un colpo di Stato, che vi fosse la repressione, che fossero state tolte le libertà individuali. Cosa non vera, perché la legge fu introdotta per cercare di mantenere l’ordine pubblico e questo ha alimentato scontri sempre più violenti. Non dimentichiamoci che una delle teorie più spesso citata, oltre alla strategia della tensione, è la “reazione”, cioè in fondo i giovani che si armarono e furono indotti ad armarsi credendo che vi fosse un colpo di Stato, lo fecero per reazione, non per loro iniziativa, dopo un grande evento, che suscitò profonda emozione, come la strage di Piazza Fontana. Ovviamente, questo è un falso, perché gli scontri di piazza erano già avvenuti, c’era già stato un morto nella polizia, prima che scoppiasse la bomba. Non solo, ma vi erano già state bombe di vario tipo, rivendicate ora dagli anarchici, ora da estremisti di destra, in giro per l’Italia. Si stava alzando il livello dello scontro, che produsse ad un incanaglimento che portò a tutto quello che ne seguì.

C’è qualcuno ha tratto vantaggio da questo scontro sociale e di ideologie?
Io credo che nessuno ne abbia tratto vantaggio. Non certo le vittime. Che furono principalmente tra le forze dell’ordine. E’ vero, furono colpiti giudici e giornalisti, ma ci si dimentica che furono soprattutto le forze dell’ordine a essere colpite. E anche dirigenti industriali. C’era già tutto in quegli anni. Si capiva già quanto stava succedendo. Quando dei dirigenti della Pirelli venivano minacciati, con auto bruciate, si capiva. Qualcuno invece preferì chiudere gli occhi. Addirittura, qualcuno pensò che fossero provocazioni contro la parte più rivoluzionaria del movimento operaio. In realtà, non era così. Era semplicemente una frangia della sinistra che aveva preso il sopravvento: si era ubriacata di ideologia e stava reagendo. No, non ne beneficiò nessuno, nemmeno i giovani che furono indotti ad arruolarsi nel Partito armato e a sparare su vittime inermi. Molti di loro hanno buttato via la loro vita. Alcuni sognano ancora di portare la rivoluzione in Italia. Abbiamo solo perso tanto tempo, l’ha perso il Paese, con tante perdite di vite umane e con tanto odio inoculato nel tessuto democratico del Paese.

Perché bersaglio dei terroristi furono anche i magistrati?
Perché nella struttura dello Stato venivano gli agenti penitenziari, i carabinieri, le forze di polizia e venivano anche i magistrati, che erano chiamati ad applicare il codice e a condannare quelli che erano giudicati eversori o che avevano partecipato ad atti terroristi. Vi furono per la verità anche dei magistrati che solidarizzarono con una frangia estremista, magari non terroristica, ma sicuramente estremista, della sinistra quando altri magistrati, facendo il loro mestiere, ordinavano delle perquisizioni o altri provvedimenti. C’era una teorizzazione anche all’interno della magistratura di una vicinanza alla parte più contestatrice di quel movimento, che si sviluppò dal ’68 in poi. E certo, quello non fece ben sperare. Detto questo, ci furono molte vittime tra i magistrati, il primo fu Coco, a Genova, che fu abbattuto insieme a due guardie del corpo, e tanti altri ancora.

Per i terroristi cosa avevano in comune magistrati e giornalisti? Ricordiamo l’uccisione di Walter Tobagi, giornalista del Corriere della Sera.
Ma anche Casalegno, Montanelli, Bruno, che era vicedirettore del Secolo XIX, Emilio Rossi, direttore del Tg1. Avevano in comune gli uni di perseguire i reati, gli altri di raccontarli, di descrivere il clima di odio che si sviluppava. Giornalisti come Tobagi, attento osservatore della realtà di quegli anni, che criticavano e denunciavano la deriva che stavano prendendo i fatti, come Montanelli, che metteva in guardia da certe “solidarietà pelose”, o che attaccavano l’estremismo rosso, venivano giudicati dei nemici e come tali venivano colpiti.

Anche se l’ipotesi è stata esclusa dagli inquirenti, lei per qualche giorno, per l’opinione pubblica, è stato vittima di un attentato. Può dirci quali sentimenti ha provato, quali riflessioni ha fatto in quei giorni?
Quando ho sentito i colpi di pistola, che ci sono stati, perché un uomo –da quello che dicono i magistrati- quella sera, sul pianerottolo di casa mia c’era. Cosa ci facesse non lo so. Secondo i pm non era lì per colpire me. Forse, non so, andava a caccia di farfalle, soprattutto d’inverno… Quando ho sentito queste cose, soprattutto quando i funzionari che indagavano sulla vicenda mi hanno escluso che fosse un ladro, mi sono domandato cosa facesse una persona armata, che al solo vedere un’altra persona, spara o tenta di sparare. Il clima. Io non so se stanno ritornando gli anni di piombo. Spero di no e spero che non avvenga mai. Certo che il clima non è spesso dei migliori. Perché si confonde un avversario politico, un giornalista, un magistrato, come un nemico e come tale da abbattere. Certi ragionamenti non sono mai venuti meno. C’è un odio nei confronti di chi non la pensa come te che porta a denigrarlo, a togliergli anche la dignità di persona. Di questo passo, ci può essere sempre qualche matto che magari non ti spara, ma ti sputa addosso o ti lancia un sanpietrino, sì. Una persona ha colpito il premier. Per quanto mi riguarda, un altro signore voleva introdursi in redazione con l’obiettivo di picchiarmi ed è stato fermato in tempo dalla polizia all’ingresso. Ci sono delle anomalìe, dei modi di vedere che danno i brividi. E questo non mi piace per niente. (Egi)