I film del week end


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Hai paura del buio

di Sandro Calice

HAI PAURA DEL BUIO
di Massimo Coppola. Italia 2011, drammatico (BIM)
Alexandra Pirici, Erica Fontana, Antonella Attili, Marcello Mazzarella, Alfio Sorbello, Manrico Gammarota, Lia Bugnar, Andra Bolea, Angela Goodwin.

Tante cose da raccontare, diversi modi per provare a farlo. Massimo Coppola, documentarista, artista, autore televisivo, mescola temi come il precariato, l’emigrazione, il male di vivere nel mortaio delle sue sensibilità per farne il suo primo lungometraggio.

A Bucarest Eva ha vent’anni e un ultimo giorno di lavoro a disposizione. La sua fabbrica chiude e a lei, sola e senza affetti a parte qualche amico, lì non resta più nulla. Smonta la sua casa pezzo per pezzo, la vende, ne ricava uno zaino e pochi vestiti e decide per qualche suo segreto motivo di mettersi in viaggio per Melfi, storico paese lucano ormai famoso solo per l’insediamento Fiat. Non c’è nessuno ad aspettarla, ma Eva ci mette poco a conoscere Anna, operaia di notte nella fabbrica di auto, che la porta in famiglia, padre disoccupato e nonna inferma, e le regala la sua amicizia. Eva vuole sdebitarsi, ma prima deve seguire una donna, rumena come lei, che abita nelle campagne di Melfi, dalla quale dipende il resto della sua vita.

Coppola vuole dirci che illusioni e sogni non cambiano di molto cambiando la latitudine, che il buio – qui si parla di quello dell’anima – ha bisogno delle stesse luci per essere scacciato, a Bucarest come a Melfi, che i luoghi comuni sono roba per meschini e ignoranti, perchè ovviamente una vita può essere più dignitosa in Romania che in Italia. E ce lo dice in modo esteticamente non banale, con un racconto che assume più spesso i toni del thriller che quelli della denuncia, con una macchina da presa che sembra voler andare oltre il primissimo piano, sbattendo quasi addosso agli attori (tutti nella parte, per inciso) come per riprenderne i pensieri, e un uso straniante della musica, un volume altissimo che funge da cesura tra uno stato emotivo e l’altro. L’impressione è che il regista ci abbia messo dentro i diversi linguaggi che frequenta, con una dimostrazione di competenza, ma con il rischio che l’opera può apparire più un calcolo che un’emozione.


s.calice@rai.it