di Francesco Chyurlia
Cresce, anche se marginalmente, il tasso di disoccupazione a marzo: dall’8,2% di febbraio all’8,3% dello scorso mese. Una ricaduta minimale che inquieta il mondo del lavoro, i sindacati e tutti coloro che attendono con ansia una ripresa definitiva dell’economia italiana. I giovani, in questa fase di post-crisi, restano al palo con un tasso di disoccupazione che sfiora il 29%. Eppure, può sembrare un paradosso, aumentano anche i nuovi posti di lavoro: ben 111 mila rispetto al mese precedente. Il presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, pur non sottovalutando il dato sulla disoccupazione, interpreta positivamente quello sull’occupazione. “L’aumento del numero di occupati a marzo – 111 mila unità in più rispetto a febbraio, il livello più elevato da settembre 2009 – è certamente un segnale positivo e incoraggiante a conferma che i momenti peggiori della recessione sembrerebbero ormai superati. Il problema di fondo, tuttavia, resta quello della persistente stagnazione della domanda interna, in particolare i consumi delle famiglie, e di un ritmo troppo lento della ripresa. E, infatti, le nostre previsioni segnalano - tanto per il 2011, quanto per il 2012 – una modesta crescita del Pil intorno all’1% o poco più”.
Questo potrebbe significare anche una stagnazione nel mondo del lavoro?
“Per costruire più crescita e più occupazione, occorre innanzitutto far ripartire la domanda interna per investimenti e per consumi delle famiglie, che contribuisce alla formazione del Pil per circa l’80%; e a questo proposito è chiaro che un aumento delle aliquote Iva non gioverebbe perché andrebbe ad incidere negativamente sul potere di acquisto e sul clima di fiducia delle famiglie e penalizzerebbe particolarmente alcuni settori come il turismo”.
E questo è sufficiente per ridare slancio all’economia?
“E’ necessario, ma occorre anche puntare maggiormente sull’economia dei servizi di mercato che contribuisce alla formazione del valore aggiunto per circa il 58% e dell’occupazione per circa il 53%. E per raggiungere questi obiettivi, la nostra ricetta è nota: procedere nell’avanzamento del cantiere delle riforme, a partire dalla “madre” di tutte le riforme, la costruzione, cioè, del federalismo fiscale ed il suo incrocio con la riforma fiscale per giungere ad una progressiva e significativa riduzione delle tasse su famiglie e imprese; e mettere in campo una politica per i servizi. Occorre, insomma, puntare su più produttività nel settore dei servizi con una buona politica per i servizi e più produttività complessiva del Paese attraverso buone riforme. Il tutto per costruire più crescita, a partire dal Mezzogiorno, e più occupazione, a partire da quella dei giovani”.
Cosa significa una buona politica per i servizi?
“Non meno concorrenza, ma più innovazione. Più attenzione al turismo, al rapporto tra commercio e città, alla mobilità urbana ed all’economia verde. E un rapido decollo delle reti per la crescita delle piccole e medie imprese”.
Anche quelle del commercio?
“Le imprese del commercio sono quelle che nella crisi hanno pagato e continuano a pagare un prezzo salatissimo. Infatti, le difficoltà nelle vendite da parte degli esercizi al dettaglio ha avuto conseguenze pesanti con la chiusura di quasi 130 mila imprese, complessivamente, nel biennio 2009-2010”.
Le proposte contenute nel Programma nazionale di riforma possono dare una spinta decisiva alla nostra economia?
“E’ qualcosa, ma non parlerei di “scossa”. Perché non possiamo accontentarci di una crescita dell’1,1% per il 2011 e dell’1,6% nel 2014, considerando anche che da un quindicennio la crescita annua dell’Italia è inferiore di circa un punto alla media dell’area euro. Per questo, bisogna puntare con più determinazione su alcune buone risorse di cui il paese dispone, a partire dal turismo e rivalutando il ruolo dei consumi e degli investimenti come assi portanti della crescita e della produzione nazionale. Trovo comunque importante che, nel PNR, sono indicati con chiarezza alcuni obiettivi fondamentali: il consolidamento della finanza pubblica; una maggiore produttività complessiva; più occupazione; più innovazione e ricerca; più liberalizzazioni. Mobilitiamoci tutti per il raggiungimento di questi obiettivi. Mettiamo in campo la responsabilità di tutti e di ciascuno. Forse, è questa la vera “scossa” di cui il Paese ha bisogno. Lo dobbiamo, in particolare, alle giovani generazioni ed al Mezzogiorno. Ma occorre che si passi rapidamente ai fatti”.
Uno degli elementi di freno, come è stato più volte sottolineato dalle associazioni datoriali, è stato nel periodo di crisi il credito per le imprese…
“Nonostante il rinnovo dell’accordo sulla moratoria dei debiti confermi la volontà e la capacità di collaborazione tra banche ed imprese in una fase ancora difficile del ciclo economico, nell’ultima rilevazione del nostro Osservatorio emerge l’acuirsi di alcune criticità nell’accesso al credito. Un dato per tutti: negli ultimi tre mesi sono più che raddoppiate le imprese a cui non è stato concesso alcun tipo di finanziamento. Occorre, dunque, una maggiore rivalutazione del modello di prossimità territoriale tra banca ed impresa, rafforzando il rapporto con il territorio e la capacità di leggere, nel territorio, i concreti andamenti delle imprese e le loro prospettive. E questo anche con l’intervento dei consorzi di garanzia fidi”.
In due importanti città italiane, Milano e Firenze, è scoppiata la polemica della apertura dei negozi il Primo Maggio. E’ così determinante per l’economia italiana lavorare proprio nel giorno della Festa del lavoro?
“Occorre abbandonare la ritualità del conflitto perché non ce n’è davvero bisogno su un tema, peraltro, che è già normato con chiarezza e che attraverso le deroghe ai comuni rappresenta anche un buon esempio di federalismo. Il meccanismo vigente prevede anche il confronto tra le amministrazioni locali, i sindacati e le rappresentanze d’impresa per individuare quelle che, oggettivamente, possono essere considerate domeniche e festività che “consigliano” anche l’apertura degli esercizi commerciali. Insomma, nessuno vuole derubricare la festa dei lavoratori, ma la straordinarietà di alcuni eventi e i fabbisogni emergenti dei consumatori e dei turisti non possono nemmeno essere ignorati”.