Giovanni Paolo II beato


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'Il grande comunicatore'

In un volume, i 27 messaggi dedicati al mondo della comunicazione

di Rita Piccolini

Nei giorni della beatificazione Karol Wojtyla ci sorride dai manifesti che tappezzano la città. Alle fermate degli autobus, agli incroci trafficati di Roma, nelle piazze e persino sugli autobus che percorrono lentamente il Lungotevere nell’ ingorgo perenne di automobili e pullman di pellegrini diretti a San Pietro.

E’ inconsueto vedere l’immagine di un uomo che sta per essere proclamato “beato” salutarci da ogni angolo della città. La cerimonia stessa della beatificazione, il primo passo verso la santità, evoca atmosfere cariche di misticismo e di spiritualità. La riflessione, la meditazione, la preghiera dovrebbero essere la cornice ideale in cui collocare il solenne avvenimento. Ma siamo a Roma, nel terzo millennio, e il Papa “beato” è stato un uomo dei nostri tempi, moderno, attento alla comunicazione, popolare, amato, stimato anche dai non credenti, e forse sorriderà di questo modo singolare che la città ha scelto per rendergli omaggio. Del resto, molti commentatori lo hanno sottolineato, Giovanni Paolo II è stato un pontefice “controcorrente”, e anche in questo occasione riesce a sorprenderci e a farci sorridere, comunicando con noi attraverso gli strumenti della modernità. In un suo messaggio sulla comunicazione del 1990 scriveva: “Dio ha parlato all’umanità secondo la cultura propria di ogni epoca”.

E’ proprio alla sua funzione di “grande comunicatore” che è stata dedicata la raccolta di messaggi che egli, nel corso del suo lungo pontificato, dedicò al mondo della comunicazione. I testi sono presentati nel volume “Giornalisti abbiate coraggio”, a cura di Alessandro Guarasci, Ignazio Ingrao, Piero Schiavazzi. Promotori dell’iniziativa il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti; Monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali; Franco Siddi, segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana con il presidente Roberto Natale; Paolo Butturini segretario dell’Associazione Stampa Romana.

“Abbiate coraggio”, “Non abbiate paura” sono le ammonizioni ricorrenti nei discorsi di Karol Wojtyla. Sono incoraggiamenti importanti, che comunicano fiducia e speranza nelle capacità dell’uomo di conoscere, dialogare e comprendere. Wojtyla amava il “mestiere” di giornalista. Ce lo ricorda Roberto Natale presentando il volume a Palazzo Valentini. “Poche professioni hanno uguale incidenza sui destini dell’umanità” sosteneva e, sentirselo dire da chi “sui destini dell’umanità di fine Novecento” ha inciso davvero fa indubbiamente effetto. Giovanni Paolo II aveva compreso tante cose della professione giornalistica e già nel 1979, ci ricorda Natale nella prefazione, quando ancora nessuno sapeva cosa fosse lo “share”, in modo profetico scriveva:”Vi chiedo di rinunciare a certi piani di ricerca calcolata del massimo indice di ascolto”. Ciò nonostante percepiva il fascino che può esercitare il lavoro nei media, nella consapevolezza che fosse necessario “intensificare l’azione diretta alla formazione di una coscienza critica” perché i settori più deboli della società “non vengano esclusi da un ruolo effettivo e responsabile, nel decidere i contenuti dei media e determinare le strutture e le linee di condotta delle comunicazioni sociali”.

Ma al centro del suo interesse autentico e profondo non ci furono soltanto, come è ovvio, i contenuti dell’informazione giornalistica, ma anche i mezzi con cui realizzare la comunicazioni globale. Monsignor Celli ci parla di questa attenzione alle nuove tecnologie e del fascino che esercitarono sul Karol Wojtyla. “Nasce una cultura digitale” negli anni del suo pontificato da cui non solo Giovanni Paolo II, moderno e curioso, non volle farsi tagliare fuori, ma che incoraggiò, comprendendo che le nuove tecnologie non sono solo strumenti, ma l’origine stessa di una nuova cultura di comunicazione, una sfida per portare al mondo i contenuti del Vangelo. Quindi sì al web per incrementare il dialogo culturale.

“Il Papa ha sempre creduto nelle potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione” scrive il vaticanista Alessandro Guarasci. Internet, tv satellitare, e ogni altro mezzo di comunicazione elettronico come egli stesso ha detto in più di un’occasione sono “il primo areopago del tempo moderno”. “Un proscenio sconfinato che permette anche alle popolazioni più lontane di conoscere la parola di Cristo- scrive ancora Guarasci- un pontefice così moderno nel suo modo di comunicare non poteva ignorare un mezzo così rivoluzionario come Internet”. A questo argomento dedicò il messaggio per la 36esima giornata mondiale delle comunicazione sociali, il 12 maggio del 2002. In quella occasione scrisse che Internet può offrire magnifiche opportunità di evangelizzazione se utilizzato con competenza e con la consapevolezza della sua forza e delle sue debolezze. E come spesso gli accadeva pensava ai giovani, che sempre più ricorrono al ciberspazio quale finestra sul mondo. “Da molto tempo la Chiesa ritiene che i media sono da considerare dei doni di Dio”, scriveva nel messaggio del 1991. “Ora l’umanità dispone di mezzi quali satelliti, computer…e sempre più avanzati metodi di trasmissione e informazione. Il fine di questi nuovi doni è avvicinarci l’un l’altro più intimamente nella fratellanza e nella mutua comprensione”. Ma l’interesse per i nuovi doni della comunicazione erano sempre accompagnati da una vigile coscienza critica in relazione ai contenuti. Scriveva nel 2003:” I media spesso rendono un servizio coraggioso alla verità; ma talvolta agiscono come mezzi di propaganda e disinformazione, al servizio di interessi ristretti, di pregiudizi nazionali, etnici, razziali, e religiosi , di avidità materiale e di false ideologie di vario tipo”.

Franco Siddi ci rammenta che sempre nel 2003 concluse il messaggio annuale per la Giornata delle Comunicazioni sociali con una preghiera per i giornalisti, invocando per loro da Dio il dono del coraggio. Il volume che raccoglie i suoi 27 messaggi sull’informazione “potrebbe essere definito la sua quindicesima Enciclica, poiché presenta in maniera organica il pensiero del Papa si temi della comunicazione sociale, sviluppando ogni anno un profilo specifico e in particolare quello della dignità, della libertà, eticità della professione giornalistica. Questo volume è quindi un omaggio al “grande comunicatore”, grande a tal punto da riuscire a comunicare anche con il silenzio. Scrive Monsignor Celli: ”Del prossimo beato ancor più fortemente espressivo fu forse il drammatico silenzio con il quale si congedò dalla finestra del suo ultimo saluto in piazza San Pietro: al grande comunicatore veniva a mancare la parola”.

Tutti però ci ricordiamo di quel momento, di quando ormai vecchio e stanco, alla fine della vita, le parole non uscirono dalla sua bocca ma ci parlò con un gesto, uno sguardo profondo, un atteggiamento del volto.