Vengono definiti 'lavoratori professionisti', eppure risultano essere poco autonomi, spesso soggetti a uno stringente orario di lavoro, mal pagati, con contratti a 'tempo' piuttosto che a 'risultato'. E' questa la 'fotografia' dei professionisti italiani scattata dalla ricerca dell'Ires, 'Professionisti: a quali condizioni?', promossa dalla Cgil e dalla Filcams.
Il rapporto dell'istituto di ricerca della Cgil 'accende' un faro sui cambiamenti che hanno investito negli ultimi anni il lavoro autonomo e in particolare quello professionale. A cominciare da alcuni numeri: circa l'80% dei 'protagonisti' della ricerca ha una laurea, ma per il 44,6% il reddito annuale non supera i 15 mila euro l'anno.
Lo studio denuncia come nel nostro paese l'attenzione si sia concentrata unicamente "sulle problematiche e le derive negative prodotte sul versante del lavoro subordinato, ma non si e' analizzato a sufficienza il mondo del lavoro autonomo e professionale, ne' si e' intervenuto, contrariamente alla legislazione introdotta nel resto d'Europa, sul versante degli equilibri economici e sociali che, man mano, si spezzavano sul versante del lavoro autonomo e professionale".
I risultati della ricerca Ires mettono in luce che questo disequilibrio non e' tanto prodotto dalla costrizione a usare forme improprie di lavoro (8,5%), che pure e' "un fenomeno presente e preoccupante su cui agire tempestivamente". Altre sono le problematiche come la scarsa autonomia, che riguarda infatti il 19,6% del campione, la gestione definita e controllata di un orario di lavoro per il 24,4%, un contratto stipulato sulla base della durata e non sui risultati della prestazione per il 20,2%.
I processi di cambiamento degli ultimi decenni, sottolinea la ricerca, "hanno indebolito i rapporti di forza che consentivano al singolo professionista o lavoratore autonomo di poter agire sul mercato con sufficiente capacita' contrattuale". Dall'indagine emerge chiaramente, infatti, come il lavoro autonomo non sia piu' lo stesso perche' la capacita' di contrattare del singolo professionista nei confronti dei propri committenti non e' piu' in equilibrio: il 58,4% di loro dichiara una possibilita' pessima o insufficiente di riuscire a contrattare le condizioni di lavoro.
Il tutto mentre, si osserva nella ricerca, "in Italia, non si e' intervenuti dal punto di vista legislativo o contrattuale per riequilibrare la parte contraente che si stava indebolendo". E questa situazione, secondo l'Ires, esplosa almeno negli ultimi due decenni, ha generato diversi indicatori che rimarcano l'esistenza di tre nuclei specifici tra i professionisti autonomi.
A cominciare dai professionisti 'precari'. Una componente che si attesta attorno al 20%, una fetta meno rilevante delle altre, ma a forte rischio di precarieta', 'costretti' all'apertura della partita Iva, e a modalita' di svolgimento della prestazione tipica del lavoro subordinato, ulteriormente confermate se messe in relazione alla percezione di se'. Il 13,7% si sente, infatti, un lavoratore dipendente non regolarizzato, con punte piu' elevate soprattutto nell'area gestionale-amministrativa (21,9%), in quella socio-sanitaria (21,8%), nell'informazione ed editoria (21,7%), tra i ricercatori (29,2%). L'incidenza massima e' raggiunta tra i docenti ed educatori (32,4%). In questo gruppo l'eta' media e' piu' bassa degli altri (il 45,5% ha meno di 35 anni) e l'incidenza femminile e' maggiore (il 51,8% sono lavoratrici).