Lo scorso 9 marzo, con un discorso alla Nazione, il re del Marocco, Mohammed VI, ha annunciato una svolta epocale, destinata forse a gettare le basi della prima vera democrazia a tutto tondo nel mondo arabo. Venendo incontro alle richieste di cambiamento dei giovani scesi in piazza due settimane prima, il sovrano ha incaricato una Commissione di modificare radicalmente la Costituzione, rafforzando i poteri del governo e dei partiti, in un quadro pluralista e nel più rigoroso rispetto dei diritti umani. Il progetto che ne scaturirà sarà sottoposto a referendum entro giugno.
Le proteste in Marocco sono figlie delle manifestazioni che hanno scardinato i regimi in Egitto e Tunisia: diritti umani, democrazia e lotta alle oligarchie corrotte sono anche qui le parole d’ordine. I giovani dimostranti, confluiti nel “movimento del 20 febbraio”, contestano a Mohammed VI di non aver mantenuto le promesse di democratizzazione fatte al momento dell’ascesa al trono, nel 1999. Oltre a una nuova Costituzione, il movimento chiede una svolta nella lotta alla corruzione, un pacchetto di misure sociali per i giovani disoccupati, nonché il rilascio di tutti i detenuti politici (gran parte dei quali sono cittadini del Sahara occidentale, occupato ma non riconosciuto come parte integrante del Marocco dalla comunità internazionale).
Come in Egitto e Tunisia, il movimento esprime il disagio dei giovani, in un Paese la cui età media è di 27 anni. La protesta ha subito conquistato adepti tra alcuni piccoli partiti di opposizione (due di estrema sinistra e uno islamico) ma anche tra i magnati dell’industria locale e persino nella famiglia reale. Le manifestazioni si sono svolte il 20 febbraio in varie città, con violenze circoscritte e atti di vandalismo che hanno causato due vittime, circa 200 feriti e portato a un centinaio di arresti. Altre dimostrazioni sono seguite nelle settimane successive. (R. F.)