I film del week end


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C'è chi dice no

di Sandro Calice

C’E’ CHI DICE NO
di Giambattista Avellino, Italia 2011 (Universal Pictures)
Luca Argentero, Paola Cortellesi, Paolo Ruffini, Myriam Catania, Claudio Bigagli, Marco Bocci, Roberto Citran, Massimo De Lorenzo, Chiara Francini, Edoardo Gabbriellini, Harriet McMasters Green, Max Mazzotta, Isabelle Adriani, Giorgio Albertazzi.

Il tema è grave, ma non è serio, avrebbe detto Flaiano. Si parla di raccomandati in questa commedia di Avellino (il regista dei film di Ficarra e Picone) con la sceneggiatura di Fabio Bonifacci (“Diverso da chi?”, “Si può fare”). E appunto, ci sarebbe poco da ridere.

Max (Argentero), Irma (Cortellesi) e Samuele (Ruffini) sono tre compagni di scuola che si ritrovano dopo vent’anni e scoprono di avere un problema comune: a tutti e tre un raccomandato ha rovinato la vita. Max è un bravo giornalista che da anni si adatta a scrivere su improbabili riviste in attesa di essere assunto dal quotidiano locale, finquando non viene scavalcato dalla figlia ricca, viziata, ma “rivoluzionaria” di uno scrittore famoso. Irma è un medico stimato, uno dei migliori dell’ospedale, ma dopo anni di borse di studio, alla vigilia del contratto, la sua bravura all’improvviso scompare davanti alla fidanzata del primario. Samuele, infine, nonostante sia un genio del diritto, sono anni che fa lo schiavo del professor De Rolandis (Albertazzi), ha il suo ufficio nei bagni dell’università e convive con due studenti perché non ce la fa a pagarsi l’affitto; si consola pensando al concorso che è certo di vincere, ma non ha fatto i conti col genero di De Rolandis. Basta! E’ ora di dire “no”! I tre amici escogitano un piano: si vendicheranno ognuno del raccomandato dell’altro, così nessuno potrà mai risalire a loro. In teoria. La pratica, si sa, è un’altra cosa.

“C’è chi dice no” è una commedia godibile, girata e recitata senza particolari virtuosismi, ma anche senza cadute di stile. La riflessione sulla raccomandazione, questa stortura della nostra società che come dice lo sceneggiatore diventa “furto di dignità, furto di vita”, resta abbozzata nella risata amara, non ha lo spazio per tracimare nell’indignazione, quasi come se Avellino – che pure non indulge a morali rassicuranti – non volesse “disturbare” troppo la visione. Un graffio in più avrebbe fatto meglio, e comunque l’idea dei “Pirati del Merito” meriterebbe di essere copiata nella realtà.