di Emanuela Gialli
Quando si scende nei laboratori sotterranei del Gran Sasso, protetti dalla roccia appenninica, è come se si uscisse dal mondo reale per calarsi, come speleologi, nel futuro. E’ un temporaneo abbandono dei riferimenti che scandiscono i ritmi della vita quotidiana: spazio, tempo, proiezioni mentali. E si finisce per cedere alla tentazione dell’oblìo, del lasciarsi dietro le spalle le incompiutezze, le piccole grandi incomprensioni dell’umanità vissuta ogni giorno. Si comincia a ragionare in modo diverso e le preoccupazioni sembrano allontanarsi. Anche se, in fondo, non c’è niente di più reale del futuro e della scienza. “Capire la natura intrinseca della particella ci aiuta a capire meglio la materia, che conosciamo solo per il 5%. E cosa c’è di più reale e veritiero della materia?”, dice sorridendo il direttore del Laboratorio di Fisica Nucleare dell’Aquila, Lucia Votano. Comunque non è necessario calarsi fisicamente nelle sale rocciose per provare smarrimento. Basta anche soltanto parlare con gli scienziati, per sentirsi in “terra straniera”. Qui sotto, i progetti, gli esperimenti in corso, sono tutti internazionali, portati avanti cioè da ricercatori, enti, società di tutto il mondo. Gli scienziati italiani in una realtà come questa non si sentono un po’ in asilo? “No, non si sentono stranieri in Italia. Dipende dal fatto che il cittadino non è conscio delle potenzialità della ricerca italiana, perché non è sufficientemente incoraggiata e promossa”, risponde il presidente dell’Istituto nazionale di Fisica Nucleare, Roberto Petronzio.I nostri scienziati parlano in media 4-5 lingue, a volte faticano a esprimersi in italiano, tanto sono abituati ad avere a che fare con ambienti stranieri, in cui sempre più spesso ormai studiano e lavorano. Carlo Rubbia è nato a Gorizia nel 1934. Nel 1984 ha ricevuto il Nobel per la Fisica. Ha 28 lauree ad honorem, prese qua e là nel mondo. Al Cern di Ginevra, di cui è stato direttore generale dal1989 al ’94, segue da vicino gli esperimenti legati al Grande acceleratore e gli studi sulle particelle elementari. Svolge attività di ricerca nel campo della stabilità del protone, della fissione, della fusione nucleare controllata. Ha anche messo a punto un motore che può portare un’astronave fino a Marte in un tempo molto più breve rispetto agli attuali propulsori. In Spagna sta sviluppando l’energia solare. A Berlino, è direttore scientifico del Centro per gli studi avanzati di sostenibilità di Postsdam, vicino a Berlino, finanziato dal governo centrale e dai lander, in cui si stanno sviluppando tre filoni di ricerca per le energie pulite: anidride carbonica purificata, metanolo, clatrati. “La nostra idea – spiega Rubbia -è quella di bruciare fossili senza però produrre anidride carbonica. Così invece di usare il gas metano, pensiamo di scomporlo in un tubo a mille gradi in idrogeno e carbonio. L'idrogeno diventa un 'carburante' pulito e il black carbon si trasforma in una base per altri prodotti”. Per far fronte all’emergenza petrolio, si potrebbe usare il metanolo. "Catturare l'anidride carbonica che già viene prodotta ed è anche già pagata e di mescolarla con l'idrogeno per produrre metanolo che si può trasformare in tante maniere per esempio in etanolo, in urea e in resine. In questo modo la Co2 si trasforma in un asset". Infine, i clatrati. "E' una sostanza chimica scoperta di recente e di recente si è capito che ce ne sono quantità enormi in tutto il mondo. I clatrati si possono trovare nelle parti più profonde di fondali oceanici addirittura si parla di una potenzialità di 10mila giga tonnellate. Rappresentano una grandezza enorme rispetto alle poche centinaia di giga tonnellate che ci sono di metano e petrolio convenzionali". E i clatrati, ecco il colpo di scena, possono rappresentare trenta volte la produzione di gas naturale. In Italia, adesso Rubbia ha inaugurato il progetto Icarus, partito ufficialmente il 29 marzo al Gran Sasso, si chiuderà tra due anni, max tre anni, quando il Cern, per uno shtdown interno, smetterà di inviare il fascio di neutrini artificiali, parte integrante del progetto. Usa Argon liquido ultra puro, per osservare, e registrare, il comportamento dei neutrini. Lavorano, i ricercatori, eccome, e vanno avanti, se non Italia all’estero.
Professor Rubbia, pensa che in futuro la ricerca in Italia verrà finanziata in maggior parte dai privati?
Direi che l’equilibrio è noto. Ci sono certe ricerche che non possono essere finanziate dal privato. E’ il problema dell’albero e del frutto: se taglio l’albero, non avrò più frutti. La ricerca applicata serve a creare le premesse per far sì che i frutti diventino disponibili. Sono facce della stessa medaglia. Le cose inutili e impossibili oggi sono quelle che domani renderanno la vita diversa rispetto all’attuale. Senza fondi non ci sarà cambiamento, futuro. La ricerca è anche formazione e istruzione. Una struttura universitaria sana non può non avere ricerca.
Nei progetti come Icarus, che vedono la collaborazione di vari Stati, l’Italia come si pone? La sua è una posizione paritaria o subalterna rispetto a quella degli altri Paesi?
In questo caso stiamo parlando di idee, invenzioni. Il finanziamento è essenziale, ma non è l’unica cosa. Quello che conta è la curiosità, l’inventività, e la voglia di fare le cose in maniera diversa. Come esiste in altri campi, la moda, l’arte. Sono cose che vengono dallo spirito, dalle qualità della nostra gente. Certo potremmo fare meglio, se riconoscessimo l’esigenza dell’innovazione.
Una forte innovazione è stata considerata a suo tempo l’energia nucleare. La sua opinione sulla moratoria, sull’attesa scelta da Veronesi nei confronti del nucleare.
Suggerirei al Professor Veronesi (presidente dell’Agenzia italiana per il nucleare, ndr) di andare a vedere a Fukushima cosa sta succedendo, perché le informazioni che riceviamo sono incomplete e controllate dai mass media. Quello che è accaduto in Giappone, avrà conseguenze enormi per il futuro.
Dunque il nucleare va spazzato via?
Io non ho detto questo. Sarebbe troppo facile sostenerlo. Occorre invece una riflessione profonda sui motivi che hanno portato alla drammatica situazione in Giappone.
L’energia nucleare è vero che può essere utile per i mezzi di trasporto, in particolare per gli aerei?
Attenzione. Il petrolio non c’entra niente con il nucleare. Alitalia non volerà mai con il nucleare, perché ha bisogno di mettere dentro l’aereo qualcosa per farlo volare. Io sono convinto che a parte i problemi di carattere ambientale, ci sono problemi finanziari. Il 97% del trasporto dipende dal petrolio. Il 50% della chimica fine – vestiti, fertilizzanti, plastiche - dipende dall’oro nero. Oggi non esiste un’alternativa seria. Il petrolio è dominante. Noi siamo abituati a una situazione in cui l’energia e, lei cita giustamente, il trasporto, sono disponibili a un prezzo relativamente ragionevoli. La domanda e l’offerta sono importanti. Le faccio un esempio. Oggi la Cina aumenta del 30% ogni anno la produzione di petrolio. Ma esiste abbastanza petrolio? No. A un certo punto ci sarà la crisi nell’approvvigionamento energetico. La domanda salirà rispetto all’offerta, con i prezzi in salita. Allora che succederà? Il petrolio non finirà, ma che faremo quando il prezzo sarà inaccessibile?
La risposta la sta mettendo a punto a Berlino. Ma si potrebbe cominciare a pensare anche al torio?
Le posso dire quali sono i numeri. Per sviluppare mille Megawatt di occorrono ogni anno 200 ton di uranio naturale, per un reattore nucleare, oppure 3,5 milioni di carbone, mentre sarebbe sufficiente una ton di torio, l’anno.
Sul piano della sicurezza?
Con il torio non si parlerebbe più di bomba atomica, di Chernobyl, nè di scorie. Il reattore al torio non ha il problema delle fughe radioattive, perché il reattore è controllato da un fascio di particelle. Si spegne il fascio, si ferma il reattore.
Si trova facilmente in natura?
E' molto più abbondante dell'uranio. E' reperibile tanto quanto il piombo. Le riserve di torio conosciute in Cina sono sufficienti per 20 mila anni di produzione di elettricità alla potenza totale di oggi. In India, basterebbero per 30 mila anni. E dico un'altra cosa: l'Italia è ricca di torio, soprattutto nella zona degli Appennini, in Umbria e anche qui, in Abruzzo.