di Maurizio Righetti
Diminuita la mortalità, l’attenzione si concentra sulla tollerabilità delle terapie
Forse un po’ di tempo fa sarebbe sembrato impossibile, ma lo scenario – assolutamente reale – può apparire ancora fantascientifico: un farmaco in forma di nanoparticelle 100 volte più piccole di un globulo rosso oltrepassa velocemente tutte le barriere fisiologiche per portare la forza del principio chemioterapico intatto al centro della cellula tumorale. E’ l’innovativo meccanismo d’azione di paclitaxel albumina (Abraxane®), un nuovo farmaco basato sulla piattaforma nabTM, che coniuga un principio attivo di efficacia antitumorale comprovata, paclitaxel, con la tecnologia d’avanguardia basata sulle nanoparticelle, per offrire alle pazienti con tumore al seno in fase avanzata un trattamento più efficace e allo stesso tempo più sicuro. Una nanoparticella di paclitaxel albumina ha una dimensione media che corrisponde a 130 nanometri, cioè 130 millionesimi di millimetro. E’ un altro dei benefici frutti delle più sofisticate tecniche d’ingegneria genetica.
Per entrare nel tumore non servono più solventi chimici
Per la loro dimensione infinitesimale, le nanoparticelle di Abraxane® sono dunque in grado di veicolare nel sangue il principio attivo senza necessità di solventi chimici e di penetrare nella membrana della cellula tumorale. Abraxane® rappresenta un salto evolutivo per la maggiore efficacia rispetto al paclitaxel in quanto ha raddoppiato la percentuale di risposta nelle pazienti in seconda linea e ha prolungato significativamente il tempo alla progressione del tumore, estendendo la sopravvivenza globale e riducendo del 28% il rischio di decesso. Dopo l’approvazione della FDA, Abraxane® approda finalmente in Italia: come ha rilevato Sabino De Placido, Ordinario di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, durante la presentazione della nuova procedura, avvenuta a Roma “la nanotecnologia, attraverso un meccanismo biologicamente naturale e altamente innovativo, consente che alte concentrazioni di paclitaxel, senza la necessità di solventi sintetici tossici, possano essere veicolate al sito del tumore. È stato dimostrato da studi preclinici un accumulo intraneoplastico di paclitaxel significativamente superiore del 33% per 24 ore con paclitaxel albumina radiomarcato, in confronto a una dose equivalente di taxolo contenente solvente. Pertanto, paclitaxel albumina non può essere considerato soltanto un altro taxano ma è una vera chemioterapia target, che si configura come un trattamento altamente innovativo nel carcinoma mammario metastatico”.
L’efficacia terapeutica resta obiettivo primario
L’indicazione per cui il farmaco è stato autorizzato è, infatti, il tumore alla mammella in fase avanzata che non risponde alla chemioterapia usuale. In questi casi l’efficacia terapeutica rappresenta ovviamente il target primario, anche se il raggiungimento di questo obiettivo, fino a qualche anno fa, poteva non andare di pari passo con un’attenzione alla tollerabilità e alla qualità di vita delle donne impegnate nei trattamenti. In questa nuova fase della lotta al tumore al seno, coniugare efficacia e tollerabilità rappresenta la nuova sfida, specie per le donne che si trovano in una fase avanzata del tumore e per le quali il tempo di vita è cruciale non solo in termini quantitativi, ma anche dal punto di vista della sua qualità. I trial clinici di Fase III cui è stato sottoposto provano che Abraxane® ha vinto la sfida mostrandosi in grado di raggiungere e centrare gli obiettivi di efficacia, sicurezza e tollerabilità sfruttando i meccanismi di nutrizione del tumore contro il tumore stesso. Una tecnologia avanzatissima che, grazie all’albumina utilizzata come carrier naturale, riesce ad aumentare del 33% l’accumulo dell’antitumorale paclitaxel sul tumore e dunque potenziare l’efficacia della cura, mitigando sensibilmente gli effetti collaterali.
La ricerca Celgene e le terapie “rispettose”
Grazie al costante impegno nella ricerca che caratterizza l’operato di Celgene e ai suoi risultati, le pazienti possono oggi contare su terapie sempre più rispettose del loro delicato equilibrio e delle loro esigenze. “Celgene fa tesoro delle esperienze del passato di ognuno per realizzare il sogno di tutti: occuparsi con passione di una grande causa realizzando il maggior beneficio possibile per la collettività, i pazienti e le loro famiglie, i medici, tutti i professionisti e i decisori che lavorano per migliorare ogni giorno la salute delle persone in tutto il mondo” – afferma Stefano Portolano, ad della società.
La paziente oggi, verso l’approccio globale
Sull’integrazione terapeutica e la presa in carico globale della paziente affetta da tumore al seno, abbiamo posto alcune domande a Paolo Marchetti, ordinario di Oncologia Medica alla “Sapienza” di Roma.
Il carcinoma della mammella è la neoplasia femminile a più elevata incidenza nei Paesi industrializzati, per cui ogni piccolo incremento di efficacia dei trattamenti si traduce in decine di migliaia di vite salvate: come si sono modificati i fondamenti della gestione clinica di questo tumore negli ultimi decenni?
Negli ultimi 40 anni, il trattamento del cancro della mammella operato si è basato sempre di più sull’integrazione terapeutica. Dalla sola chirurgia (peraltro particolarmente devastante) con un elevato numero di insuccessi terapeutici, si è passati ad una chirurgia più conservativa associata alla radioterapia; con l’aggiunta di schemi contenenti tre farmaci (CMF) si è osservato un vantaggio di circa il 4%. Negli anni ‘80 l’utilizzazione delle antracicline in terapia adiuvante ha determinato un ulteriore vantaggio del 4%, fino al 2000, quando l’inserimento dei taxani ha permesso di aggiungere un ulteriore 5% e, nel gruppo di pazienti con malattia contenente uno specifico recettore per i fattori di crescita (HER-2), un anticorpo monoclonale ha permesso di superare ulteriormente questi limiti. Questi risultati sono stati migliorati con la terapia ormonale. Nel complesso, negli ultimi 20-30 anni vi è stato un 15-20% di miglioramento nella sopravvivenza di pazienti affette da cancro della mammella in fase iniziale. Questi risultati, anche se molto importanti, devono essere ulteriormente migliorati. In questi ultimi anni, la ricerca clinica si sta rivolgendo sempre di più verso la possibilità di personalizzare i trattamenti. Oggi è possibile riconoscere all’interno della cellula specifici bersagli molecolari, contro cui indirizzare i nostri farmaci. Oltre che le caratteristiche del tumore, abbiamo imparato a riconoscere le diverse caratteristiche della paziente, sia a livello clinico che genomico, per ridurre la tossicità dei trattamenti o per prevederla con maggiore accuratezza. Lo studio delle cellule tumorali circolanti rappresenta oggi una interessante prospettiva di ricerca.
Quali sono gli elementi in grado di consentire di prevedere l’evoluzione del tumore alla mammella?
Alcuni elementi clinici possono essere nello stesso tempo fattori prognostici e fattori predittivi di risposta (come i recettori per gli ormoni steroidei). I fattori prognostici possono essere legati alle caratteristiche cliniche della neoplasia (dimensioni, interessamento dei linfonodi) o alle sue caratteristiche biologiche (grado di differenziazione, contenuto di recettori per gli ormoni steroidei, attività proliferativa, espressione di recettori appartenenti alla famiglia degli EGFR, come HER-2). Sulla base di queste caratteristiche, viene deciso il trattamento adiuvante, cioè da attuare subito dopo l’intervento chirurgico.
Quali sono le variabili cliniche e biologiche espresse dalla paziente che devono essere tenute in considerazione per la scelta del trattamento farmacologico da somministrare nel caso di presenza di metastasi?
Nella malattia metastatica, ovviamente, molto importante è valutare il coinvolgimento dei diversi organi e l’estensione della malattia. Importante, in queste pazienti, anche la conoscenza dei fattori predittivi di risposta, in modo da utilizzare i farmaci più adatti ad ogni singola paziente, in funzione dei risultati che si vogliono ottenere, delle tossicità prevedibili, delle condizione cliniche generali e di eventuali altre patologie presenti. L’età non rappresenta più, di per sé, un fattore limitante, ma deve essere presa in considerazione in una visione complessiva dei bisogni della paziente.
Esiste uno standard di cura per le pazienti che si trovano nella fase metastatica di un tumore alla mammella e quali sono gli eventuali obiettivi di una terapia?
Gli obiettivi del trattamento del carcinoma mammario metastatico dipendono dalle caratteristiche biologiche della neoplasia, dalle condizioni cliniche generali della paziente, dalle patologie concomitanti, dal numero e dal tipo di organi coinvolti e dall’estensione del processo neoplastico. In passato, si riteneva che la paziente affetta da un cancro della mammella metastatico dovesse ricevere un trattamento esclusivamente palliativo, diretto, cioè, a contenere l’evoluzione di una malattia che in ogni caso avrebbe avuto il sopravvento. Oggi, sappiamo che è possibile individuare delle pazienti che, pur in presenza di una malattia metastatica, possono trarre grande giovamento dalla terapia integrata, ottenere delle risposte importanti (fino alla completa scomparsa clinica delle lesioni metastatiche), a cui può seguire un periodo di assenza di ripresa di malattia perdurante per anni. In altre pazienti, purtroppo, il decorso della malattia è più tumultuoso ed è rivolto solo al controllo della sintomatologia. Non possiamo dimenticare che è ormai largamente superata la volontà dei medici oncologi di trattare solo il tumore (indipendentemente dai sacrifici della paziente), ma abbiamo imparato a trattare una paziente affetta da un tumore. Anche se molte di queste procedure non rientrano ancora nella pratica clinica quotidiana, la vera sfida del futuro è questa presa in carico globale della paziente e della sua famiglia. Il nostro obiettivo, in un modello di integrazione terapeutica definito come “simultaneous care”, è la cura della paziente, attraverso un percorso assistenziale che vuole rispondere al suo bisogno di salute, alle sue necessità, alle sue paure, alle conseguenze che il cancro determina nella famiglia.
Un meccanismo altamente innovativo
Sull’efficacia del meccanismo biologicamente naturale e altamente innovativo rappresentato dal Paclitaxel albumina, ci risponde Sabino De Placido, ordinario di Oncologia Medica all’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, Napoli.
Quale è l’importanza potrebbe parlare di questa tecnologia così innovativa?
I limiti dei taxani contenenti solventi hanno motivato la ricerca a migliorarne l’indice terapeutico mediante la creazione di nuove formulazioni prive di solventi. Questo è stato reso possibile grazie all’utilizzo di una tecnologia di avanguardia, quale la nanotecnologia, e l’utilizzo di un veicolo naturale, quale l’albumina umana, attraverso lo sviluppo di nanoparticelle di albumina legate a paclitaxel (nanoparticle albumin-bound: nabTM). In tal modo la nanotecnologia ha consentito di trasformare un farmaco insolubile come paclitaxel in una forma iniettabile in nanoparticelle, utilizzando l’albumina umana. Le particelle di paclitaxel legato ad albumina, va ricordato, hanno una dimensione media di 130 nanometri.
L’assenza di fenomeni di ipersensibilità
Sui vantaggi in termini di efficacia, tollerabilità e maneggevolezza delle nanoparticelle di paclitaxel albumina abbiamo posto alcuni quesiti a Francesco Cognetti, direttore de dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Roma
Quali sono gli obiettivi attuali del trattamento della forma metastatica del tumore al seno?
Il trattamento delle forme tumorali metastatiche si pone l’obiettivo di prolungare la sopravvivenza nel rispetto di una sempre migliore qualità di vita. La scelta della cura deve dunque tener conto di una serie di fattori: le caratteristiche dei siti metastatici, la biologia del tumore, il tempo intercorso tra intervento chirurgico e occorrenza delle metastasi, la massa tumorale, i precedenti trattamenti adiuvanti, e non ultimo, la preferenza della paziente, le sue condizioni generali, l’età e l’eventuale presenza di altre malattie. Circa il 6-7% delle forme metastatiche occorrono già alla diagnosi della malattia e si verificano nel 30% circa delle pazienti operate di tumore al seno con linfonodi negativi e nel 70% circa delle pazienti con linfonodi ascellari positivi. È dunque una realtà di assoluto rilievo, anche alla luce del fatto che la quota delle pazienti che vive con la malattia metastatica è in forte aumento perché aumentano le possibilità di maggiore sopravvivenza, in ragione di sempre migliori trattamenti.
Il nuovo farmaco come si pone rispetto a questi obiettivi terapeutici?
Abraxane® è in grado di migliorare significativamente sia l’efficacia dei taxani sia la tollerabilità nelle pazienti che ricevono il trattamento. Lo sviluppo di questo farmaco ha anche fra i suoi obiettivi quello di minimizzare gli effetti collaterali dei taxani che, essendo liposolubili, poco si adattano a una somministrazione endovenosa, creando una serie di problemi legati alla difficoltà di accesso al tumore e di tossicità.
Quali sono i più importanti risultati clinici raggiunti, in termini di efficacia e tollerabilità, da paclitaxel albumina, che sfrutta le proprietà naturali dell’albumina per potenziare l’efficacia, senza compromettere la qualità di vita rispetto alle terapie standard?
Il complesso di paclitaxel con albumina sviluppato secondo la piattaforma nabTM ha dimostrato una percentuale più elevata di risposte obiettive, rispetto a paclitaxel disciolto in solvente e di essere più efficace nel prolungamento del tempo alla progressione della malattia e di sopravvivenza globale. Il farmaco mostra inoltre un profilo di tollerabilità superiore rispetto a quello ottenuto con il taxolo in monochemioterapia. I taxani disciolti in solvente hanno infatti una serie di limitazioni: la loro farmacocinetica non è lineare e vi sono una serie di problematiche connesse agli effetti collaterali, come le reazioni di ipersensibilità; inoltre, le somministrazioni sono molto problematiche, per l’uso di set da infusione speciali. Al contrario, Abraxane® ha dimostrato un’assenza di fenomeni d’ipersensibilità pur in mancanza di una premedicazione, che è invece necessaria quando si usano i solventi.
Quali sono, in termini pratici, i vantaggi per le pazienti con tumore al seno metastatico che ricevono un trattamento con Abraxane®?
Oltre alla maggiore efficacia, dal punto di vista pratico, è da sottolineare ulteriormente il vantaggio costituito dalla completa mancanza di fenomeni d’ipersensibilità al farmaco senza che le pazienti debbano assumere preventivamente cortisone o antiallergici. Dal punto di vista del medico e degli infermieri, ma anche per i costi del Servizio Sanitario Nazionale, il vantaggio di Abraxane® è che si tratta di un’infusione normale, che non ha bisogno di quei set speciali e quei dispositivi che sono invece necessari per favorire l’accesso al tumore del paclitaxel disciolto in solvente ed evitare tutti i fenomeni chimici che ostacolano la somministrazione del taxolo. Abraxane®, inoltre, e questa è una differenza importante per le pazienti, ha un tempo d’infusione di trenta minuti, mentre il taxolo necessita di un’infusione di circa tre ore.