Il Pil cinese insegue quello degli Usa


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I soldi (non) fanno la felicità

Il nuovo piano economico privilegia i consumi interni m

Per la prima volta nella storia la Cina, con 5878,6 miliardi di dollari, ha superato il Giappone nel prodotto interno lordo, e si avvia a competere con gli Stati Uniti. La sola Shanghai, tanto per fare un esempio, ha un Pil superiore a quello di molti stati europei. Così l’ex impero celeste è diventato la seconda potenza economica del mondo e detiene quasi la metà dei titoli di stato americani, ben 896 miliardi di dollari, contro i 1108 della Federal Reserve. Economie che di fatto si sostengono a vicenda, ma con quella cinese a crescita più alta, e quindi destinata a occupare posizioni ancora più rilevanti nel panorama delle economie mondiali. La differenza fra lo strapotere economico americano degli anni passati e quello cinese, è che la Cina fa solo affari, non ha intenzione di imporre il proprio stile di governo né di interferire con le vicende politiche dei paesi con cui si relaziona. Per questo gli investimenti cinesi in Africa sono rilevantissimi, e gli stati africani accettano di buon grado di ricevere aiuti senza subire la retorica europea sui diritti umani. I dirigenti cinesi sanno bene che l’anomalia di un governo comunista che permette il liberismo economico più sfrenato è un sistema difficilmente esportabile, tantomeno adottabile da qualsivoglia democrazia. E quindi si limitano al “business is business”.

Consumare è d’obbligo
L’imperativo del partito “consumista” cinese, come è stato ribattezzato, è quello di spostare i soldi dal pubblico al privato, dallo stato ai cittadini. Consumare è d’obbligo, l’idea di felicità è stata accumunata a quella del benessere. Non a caso da un’indagine della Tsinghua University di Pechino emerge che il 92% dei cinesi si dichiara infelice, il 70% spaventato dalle difficoltà della vita e che l’80% dei salariati usa psicofarmaci per sopravvivere alle difficoltà dell’ambiente di lavoro. La ricerca del benessere personale, che ai tempi di Mao era considerato un lusso borghese, è un tabù ormai infranto. Per la prima volta nella storia i cinesi si confrontano con le inquietudini del liberismo (fare soldi e carriera). E il numero dei suicidi sul posto di lavoro continua ad aumentare. La dirigenza cinese ha appreso una grande lezione dalla crisi economica mondiale: la Cina non può affidare le proprie sorti economiche all’export. Mezzo mondo ha ridotto gli ordini, ed il gigante d’Oriente ha visto vacillare i propri piedi d’argilla. Quindi il rimedio è sostituire il mercato estero con quello interno, la felicità sta nel bene privato e non più in quello pubblico. Quindi, come ha sostenuto il premier Wen Jiabao, la valutazione dei funzionari sarà fatta sul Pil delle regioni, e non più su progetti, autostrade, ponti, treni-missile o grattacieli che siano. I cinesi, che tengono ancora i soldi sotto il materasso, soprattutto per comprare le case che i figli maschi devono portare in dote al matrimonio, e per evitare di morire per strada se ammalati, devono tirar fuori i risparmi e comprare automobili, televisori, frigoriferi, che saranno il simbolo, anche estetico, del loro benessere.

Il nuovo piano economico quinquennale
Il nuovo piano economico quinquennale si muove essenzialmente su tre direttrici: spostare il lavoro dalla manifattura d’esportazione a basso costo alla produzione di beni rivolti ai consumi interni, aumento degli stipendi e diminuzione delle tasse per quelli medio-bassi, e creazione una estesa rete di welfare. Ad ostacolare il piano c’è un nuovo nemico, l’inflazione, che continua a crescere del 5% l’anno, e che raggiunge punte del 10-15 per gli alimentari. Per questo la dirigenza cinese prova a frenare la crescita, e per il 2011 ha rivisto al ribasso le stime, il 7% invece dell’8% preventivato. Obiettivo difficile da raggiungere, visto che nel 2010 il Pil ha fatto registrare un + 10%. Wen Jiabao ha fatto sapere che la rivalutazione dello yuan sarà lenta e controllata, proprio il contrario di quanto gli aveva chiesto Barack Obama qualche mese fa. I fondi cinesi, che hanno investito miliardi di dollari per salvare le barcollanti economie d’Occidente, avranno meno soldi da distribuire all’estero, perché una massa enorme di denaro sarà rivolta a sostenere i consumi interni. Per evitare, peraltro, che il germoglio delle ribellioni arabe possa attecchire anche a Pechino.

Ridurre gli squilibri sociali
Sono ancora enormi gli squilibri fra i miliardari e la massa informe dei miserabili che vivono nelle zone rurali ed ai margini delle città, come è enorme il divario fra l’ interno del paese, che ancora non si è affrancato dal Medioevo, e le metropoli futuristiche come Shanghai e Canton. Un altro problema è costituito dall’eventualità, non troppo remota, di una bolla immobiliare: per ovviare, credito a go-go e sviluppo sfrenato dell’edilizia popolare: entro il 2015 saranno consegnati 36 milioni di alloggi popolari, potrebbe abitarci comodamente tutta l’Italia. Ancora: investimenti, e tanti, nella cultura, nella ricerca scientifica, nell’istruzione. Le possibilità che questo ambiziosissimo piano possa realizzarsi sono legate alla capacità della dirigenza cinese di affrontare la sfida in modo monolitico, senza dividersi fra le pulsioni nazionalistiche legate all’esercito e le spinte contrapposte delle lobby economiche, che rischiano di far naufragare il tutto, o quantomeno di rallentarlo.

Diritti civili e libertà individuali, il problema dei problemi
Per ultimo, ma non in ordine d’importanza, il problema legato ai diritti civili ed alle libertà personali, ancora barattati in cambio del liberismo economico. E’ difficile pensare che milioni di persone, che ormai hanno un elevato grado di istruzione, possano rinunciare a diritti fondamentali in cambio di un’auto nuova ed un televisore al plasma. Sarà quella la vera sfida che la dirigenza cinese deve affrontare. (M.I.)