di Sandro CaliceSUCKER PUNCH
di Zack Snyder, Usa 2011 (Warner Bros.)
Emily Browning, Jena Malone, Jamie Chung, Vanessa Hudgens, Abbie Cornish, Carla Gugino, Jon Hamm, Scott Glenn, Oscar Isaac, Danny Bristol, Vicky Lambert, Juliana Semenova, Annie Au, Malcolm Scott.
Avventurarsi nella distinzione tra forma e contenuto, nella considerazione che i film di Snyder siano potenti esperienze visive e poco altro (tranne il capolavoro “Watchmen”), è un esercizio sterile e che non rende giustizia al regista di “300”, ormai titolare e padrone di uno stile inconfondibile, che si ama o si snobba.
Siamo nel Vermont, negli anni ’60, ma potrebbe essere dovunque e in qualunque momento. Babydoll (Browning) è un’adolescente che all’improvviso deve affrontare il dolore e la paura. Il patrigno la fa rinchiudere in una clinica per malattie mentali con l’intento di farla lobotomizzare. Non ha fatto i conti con la forza di volontà e l’immaginazione della ragazza. Nella clinica Babydoll trova le sue alleate: Rocket, Blondie, Amber e Sweet Pea. Insieme possono lottare per la libertà, affrontare l’ambigua Madam Gorski e lo spietato Blue e fuggire da quella prigione. Ma per riuscirci dovranno prima trovare cinque oggetti (una mappa, il fuoco, un coltello, una chiave e una cosa misteriosa) e affrontare nemici e mostri impensabili e impossibili, col solo aiuto di Wise Man. Il loro destino è nelle loro mani, e nella loro fantasia.
L’estetica di Snyder, che qui prende possesso dell’intera opera essendone anche lo sceneggiatore, è chiara e dichiarata da sempre, oltre che in “300” e in “Watchmen” – che, ricordiamolo, erano opera dell’ingegno di due mostri sacri come Frank Miller e Alan Moore – anche nel bel film d’animazione “Il regno di Ga’ Hoole – la leggenda dei Guardiani”: i suoi film sono orge d’immagini, racconti per visioni senza soluzione di continuità, favole per bambini cresciuti piene zeppe di simboli che si possono anche non cogliere senza perdere il senso, fusione di linguaggi moderni come fumetti e videogiochi, c’è lo steampunk e il Giappone sotto forma di arti marziali, di manga e di hentai. C’è tutto questo, come si fa a dire che è poco? Anzi, probabilmente è troppo: nel senso che Snyder ci ha messo tutto o quasi il suo immaginario rendendo in qualche momento il film quasi un esercizio di stile. Ma sostanzialmente in “Sucker Punch” vedrete le ragazze più toste dai tempi di “Kill Bill” (quasi speculari ai maschioni di “300”), un’azione continua, adrenalinica, quasi ipnotica, sostenuta da una musica strepitosa, di fotogramma in fotogramma, di livello in livello, di quadro in quadro, fino al mostro finale. Se vi piace il genere, divertitevi e basta. Se poi qualcuno vuole riflettere sul significato o sul “messaggio”, si accomodi pure: ma sappiate che non è necessario.