Il dossier di Confesercenti


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La 'Pratica della abolizione delle Province'

Cosa accadrebbe se le Province fossero abolite

Attualità di una proposta

1. In una realtà economica stretta fra vincoli di finanza pubblica ed esigenze di recuperare risorse da destinare al rilancio dell’attività produttiva e del reddito disponibile delle famiglie, vanno sperimentati tutti i tentativi per uscire dalle secche dell’immobilismo o, peggio, del “cambiare tutto per non cambiare niente”.
Sotto tale profilo, l’abolizione delle Province può essere considerato un caso esemplare per almeno tre motivi:
1) per la rilevanza delle risorse pubbliche che sarebbe in grado di liberare;
2) per la coerenza con un’evoluzione costituzionale che non sembra proprio avere bisogno di un simile organo elettivo e di rappresentanza politica;
3) per la concretezza delle risposte che, una volta tanto, si riuscirebbe a dare alle crescenti istanze di riduzione dei costi della politica.

A queste motivazioni, evocate nelle proposte di soppressione che periodicamente animano il dibattito politico, se ne aggiunge adesso una quarta: il rischio che, con l’attuazione del federalismo fiscale, le Province aggiungano al ruolo di carrozzone della spesa pubblica anche quello di autonomo veicolo di crescita della pressione fiscale.
E’ quanto emerge da una rivisitazione della realtà dell’ente Provincia: la sua proliferazione, in controtendenza rispetto alle richieste di soppressione; le sue competenze, segnate da ridenominazioni formali atte solo a sottolineare duplicazioni e sovrapposizioni con gli altri livelli di governo; la struttura dei suoi bilanci, dominata dalle spese di funzionamento e da un sistema di finanziamento che, anche nella transizione al federalismo, continua ad essere sganciato dal controllo dei cittadini-contribuenti.

La proliferazione delle Province
2. In Italia esistono 110 Province: quasi il doppio rispetto alle 59 del 1861 (unità d’Italia) e ben 19 in più rispetto alle 91 degli inizi dell’età repubblicana (1947). Il processo di moltiplicazione ha subito una forte accelerazione negli ultimi venti anni: l’istituzione di quindici nuove Province si è distribuita in misura pressoché uguale fra il 1992 (otto) e il 2004 (sette). Ed ha finito per tradursi in un’amplificazione delle differenze strutturali e in una forte dispersione amministrativa della realtà provinciale (Box 1). Fenomeni destinati inevitabilmente ad accentuarsi ove dovessero trovare spazio le iniziative parlamentari (una ventina) per la costituzione di nuove Province.

Le evidenze di una proliferazione
L’esame del “fenomeno Provincia”evidenzia che:
• si oscilla fra i 4,1 milioni di residenti della Provincia di Roma (distribuiti in 121 comuni) e i 58 mila di quella sarda di Ogliastra (concentrati in 23 comuni);
• la provincia di Torino è quella che conta più comuni (315), mentre quelle di Trieste e di Prato ne hanno appena 6 e 7;
• l’estensione delle province più grandi (Bolzano con 7400 e Foggia, con 7000 Km2) rappresenta un multiplo ragguardevole rispetto alla superficie delle province più piccole (Prato e Trieste, con 365 e, rispettivamente, 212 Km2);
• la densità abitativa della provincia di Ogliastra (31 abitanti per Km2) è pari a quasi un novantesimo di quella rilevata per la provincia di Napoli (2632 abitanti per Km2). L’analisi economica (ISAE) sottolinea l’esistenza di una significativa connessione fra l’attività di spesa e l’ampiezza demografica degli Enti: le Province con popolazione inferiore ai 400 mila abitanti presentano una spesa corrente pro capite decisamente più elevata (fino a oltre il 25%) della media nazionale; laddove quelle di maggiori dimensioni evidenziano costi più contenuti, in relazione alla possibilità di sfruttare economie di scala.

3. Il confronto internazionale rivela che l’ente Provincia identifica una dimensione politica che non ha paragoni in nessun altro Paese simile all'Italia. In Francia i Dipartimenti hanno dimensione analoga, ma al di sopra c'è poi solo lo Stato. E in Germania non c'è nulla tra i Comuni e i Länder. In Gran Bretagna ci sono le Contee, ma hanno carattere tecnico-amministrativo e non politico. Negli Stati Uniti avviene lo stesso e nella maggior parte dei casi le contee sono una linea sulla carta geografica oppure individuano le competenze giudiziarie o di polizia: non a caso l'autorità più importante è lo sceriffo.

La contabilità delle Province: prima e dopo il federalismo
4. Nella situazione attuale il sistema Province si caratterizza per i seguenti aspetti: • entrate complessive per 13 miliardi, spese totali per 13.700 e un disavanzo di poco superiore a 700 milioni;
• imposte e tasse pari a circa il 50% delle entrate correnti, laddove la restante metà proviene da trasferimenti dallo Stato e da altri enti pubblici. I tributi che spiegano la maggior parte del gettito sono (in ordine di rilevanza) cinque: l’imposta assicurazioni RC auto, l’imposta provinciale di trascrizione (IPT), l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, la compartecipazione provinciale al gettito Irpef e il tributo per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell’ambiente (TEFA);
• spese di funzionamento (stipendi, acquisti di beni di consumo, pagamenti per servizi appaltati a terzi) pari a poco meno della metà delle spese totali;
• un numero di dipendenti (circa 65 mila), pari all’11% di quelli impiegati presso regioni ed enti locali e ad un quarto dei dipendenti dei ministeri.

5. La transizione al federalismo non è destinata ad intaccare tale sistema. Gli unici cambiamenti previsti riguardano solo la ricomposizione delle entrate complessive delle Province (Box 2): la quasi totalità dei trasferimenti correnti dallo Stato e dalle regioni è sostituita da compartecipazioni a tributi statali (Irpef) o regionali (tassa automobilistica).

Le Province nelle imposte del federalismo
Lo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle province (oltre che delle regioni a statuto ordinario), attualmente all’esame delle competenti commissioni parlamentari, prevede sia la conferma di imposte preesistenti sia nuove entrate in sostituzione di trasferimenti soppressi.

Le conferme riguardano due tributi (che così diventano “propri”):
• l’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile (RC auto), con un gettito dell’ordine di 1870 milioni;
• l’imposta provinciale di trascrizione (IPT), che diventa tributo “proprio”, con un gettito di 1070 milioni.
Le risorse sostituite riguardano sia il versante statale che quello regionale.

Sul versante statale è prevista:
• la soppressione di trasferimenti per 1074 milioni (ivi compresa la compartecipazione al gettito provinciale Irpef introdotta nel 2002) e dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, il cui gettito (749 milioni) rientra nella disponibilità dell’Erario. Per un totale di risorse soppresse pari 1823 milioni;
• la compensazione attraverso una compartecipazione provinciale al gettito Irpef (e non più – dopo l’intesa con le Autonomie- al gettito dell’accisa sulla benzina). L’aliquota di compartecipazione che consentirebbe di compensare le risorse abolite (1823 milioni) sarebbe pari all’1,52% del gettito provinciale Irpef 2007. Ma tale percentuale assicurerebbe esiti non uniformi sul territorio: talora (regioni del Nord e Lazio) si determinerebbe un eccesso di compensazione mentre in altri casi (Sud ed isole) si avrebbe un fenomeno inverso (ciò che accrescerebbe le esigenze di perequazione affidate al progettato fondo di riequilibrio).

Sul versante regionale è invece prevista:
• la soppressione dei trasferimenti di parte corrente delle RSO alle province dei rispettivi territori (2810 milioni, compresi 1443 per funzioni delegate);
• la compensazione attraverso l’istituzione di una compartecipazione provinciale al gettito della tassa automobilistica regionale (che complessivamente “vale” 4771 milioni per le RSO). In sostanza, per compensare i trasferimenti soppressi, la compartecipazione dovrebbe commisurarsi a poco meno del 59% del gettito dell’imposta. In realtà, le aliquote (da fissare regione per regione) sarebbero fortemente differenziate in relazione a due fattori: l’entità dei trasferimenti regionali da sopprimere (relativamente più elevata al Sud), e il gettito della tassa automobilistica (relativamente più elevato al Nord).

Peraltro, la facoltà accordata a ciascuna Provincia, a partire dal 2014 e fino a un massimo di 2,5 punti, di variare l’aliquota base (12,5%) dell’imposta sulle assicurazioni RCA (art. 13, comma 2, Schema decreto legislativo sul federalismo regionale e provinciale), lascia presagire un generalizzato e differenziato aumento del prelievo. Si rinnoverebbe, insomma, il fenomeno prodottosi con l’imposta provinciale di trascrizione (IPT), per la quale quasi tutte le Province hanno deliberato una maggiorazione dell’importo base, con un’articolazione “random” (Tavola 1).

Tavola 1
                                                                                                                L’IPT: come le Province hanno utilizzato l'autonomia tributaria

% di aumento dell'importo base (*) n. di Province
30% 49
29% 1
 26% 1
 25% 4
20% 45
19,355%  1
18% 1
15%  1
10%  1
0% 6

(*) Importo base differenziato per tipo e potenza dei veicoli. Nel caso di autoveicoli, poco più di 150 € fino a 53 Kw, e 3,5119 € per ogni Kw ulteriore.

Dal lato delle spese, invece, eventuali cambiamenti non andrebbero necessariamente in direzione di una maggiore efficienza, posto che il largo ricorso alle compartecipazioni non modifica i limiti del preesistente sistema di finanziamento basato sui trasferimenti. Anche nel prefigurato sistema federalista, infatti, il finanziamento dei servizi provinciali ricadrà soprattutto sui contribuenti statali e regionali e solo in misura minore (e non trasparente) sui residenti di ciascuna provincia. Continuerà, insomma, a mancare la corrispondenza fra utenti dei servizi e contribuenti, principio cardine (“vedo, pago, voto”) di un efficace sistema di controllo e di stimolo all’efficienza gestionale.

6. Con l’avvento del federalismo, dunque, si rischia che a cambiare siano solo le intestazioni: le risorse provenienti da Stato e Regioni non si chiameranno più trasferimenti ma compartecipazioni. La sostanza, tuttavia, non cambia:
• non cambia l’ammontare complessivo delle risorse assegnate alle Province, ancorate (per il momento) a 13 miliardi di euro, pari al 2% delle entrate complessive della Pubblica Amministrazione e a poco meno di 1 punto di PIL;
• non cambia la struttura delle spese provinciali, dominata da oneri di puro funzionamento dell’apparato amministrativo che pesano sul totale il 50% in più di quanto avviene per l’insieme delle amministrazioni pubbliche;
• non cambia il ruolo di un livello intermedio di governo che fin dai primi anni ’70 risulta compresso (e svuotato) nella stretta Regioni - Comuni.

Abolire le province: i benefici per la finanza pubblica e per le famiglie italiane
7. Se questa è la realtà, occorre domandarsi se – in un quadro di finanza pubblica stretto da scarsità di risorse e da esigenze di efficienza - non sia ragionevole riaprire la pratica dell’abolizione delle province. Una pratica che viene da lontano, che ha sofferto di molte contraddizioni e cambiamenti di opinione, ma che non è mai stata completamente archiviata (Box 3).

Abolire le province: sì, forse, no
L’abolizione delle province è un tema ricorrente nel dibattito politico. Iniziò, poco più di un secolo fa, il deputato Gesualdo Libertini, che le definì “enti per lo meno inutili”. Più di recente, e siamo agli inizi degli anni ’70, il partito dell’abolizione si materializzò in concomitanza con l’istituzione delle regioni a statuto ordinario, facendo leva sull’esigenza di evitare inutili e costose duplicazioni. Da ultimo, e siamo all’attualità, l’opportunità di sopprimere le province ha alimentato la crescente campagna contro gli sprechi, le complicazioni burocratiche ed i costi della politica. Sulla spinta di un forte movimento di opinione, quasi tutte le forze politiche la hanno fatta propria, sia inserendola nei programmi per le lezioni politiche 2008, sia avviando specifiche iniziative parlamentari.
Fra le sei proposte di legge presentate nella XVI legislatura, quelle che puntano alla soppressione tout court dell’ente Provincia dall’ordinamento territoriale della Repubblica sono la maggioranza. Quella più recente ne ipotizza, invece, una radicale riduzione del numero (da 110 a 40), nella considerazione che in una realtà come quella italiana caratterizzata dall’estrema frantumazione dei comuni (oltre la metà degli ottomila esistenti ha una popolazione inferiore a 5 mila abitanti) sia necessario assicurare l’esistenza di un “ente di area vasta” cui affidare competenze aventi dimensione sovra comunale.
Più altalenanti si sono rivelati gli annunci occasionali, passati dal decisionismo di un’abolizione “senza se e senza ma”, al pragmatismo di un taglio degli enti (una decina) con meno di un certo numero di residenti (da ultimo, 220 mila), ovvero alla ferma conservazione dello status quo.
Le diverse iniziative muovono da assunti quali: i più ampi organici provinciali in rapporto alla popolazione del territorio amministrato; la duplicazione e sovrapposizione di competenze generate da ben tre diversi livelli di governo territoriale (Regione, Provincia, Comune); la più bassa produttività del lavoro nelle province all'interno della pubblica amministrazione; lo spostamento dell’asse del governo locale a favore di Comuni e Regioni per effetto del federalismo fiscale.
Da tali premesse scaturiscono diversi modelli di riorganizzazione del governo del territorio. È prevalente quello incentrato sul passaggio alle regioni o ai comuni delle funzioni già svolte dalle province, nonché dei beni di tali enti e del personale dipendente dai medesimi. Ma affiora anche quello che vede la trasformazione delle province in associazioni di comuni, nella considerazione che si tratta di realtà che già ci sono sul territorio e che il federalismo obbliga in ogni caso all’integrazione dei servizi essenziali tra i comuni nelle dimensioni di almeno 30 mila abitanti.

Si tratterebbe, in sostanza, di prendere atto che non c'è bisogno di un livello politico-rappresentativo per gestire competenze importanti per la promozione e lo sviluppo del territorio (Box 4). Competenze che nessuno vuole certo abolire e che, ragionevolmente, potrebbero essere ridistribuite fra Comuni e Regioni, ovvero essere affidate a specifiche entità tecnico-operative (come gli assessorati regionali al territorio).

Le competenze delle province
Le Province sono enti costitutivi della Repubblica, assieme ai Comuni, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato. Al pari delle Regioni e degli altri enti locali, sono definite enti autonomi dotati di propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione.
Le Province, come gli altri enti locali, non dispongono di potestà legislativa ma della sola potestà regolamentare, esercitabile nell’ambito delle funzioni loro attribuite. I settori fondamentali in cui si esplica la loro attività amministrativa - tuttora regolati dal testo unico degli enti locali (TUEL) varato nel 2000 - sono essenzialmente quelli della difesa ambientale, viabilità e trasporti, formazione e istruzione, valorizzazione dei beni culturali. Alla Provincia sono inoltre assegnati compiti di programmazione e coordinamento delle attività svolte dai comuni.
La riforma del Titolo V della Costituzione, non modifica sostanzialmente le competenze delle Province: il ddl governativo di attuazione - varato dalla Camera nel giugno 2010 (AC 3118) e in attesa dell’esame da parte del Senato (AS 2259) – si traduce essenzialmente in una maggiore articolazione delle competenze, ferma restando una tendenziale corrispondenza con il sistema vigente. Le novità sono invece marginali e comportano: per un verso, il venir meno di certe funzioni (valorizzazione beni culturali, tutela flora e fauna, risorse idriche ed energetiche, servizi sanitari e profilassi, raccolta ed elaborazione dati e assistenza tecnico amministrativa agli enti locali); per altro verso, l’emergere di una nuova in materia di programmazione, organizzazione e gestione dei servizi per il lavoro e delle politiche per l’impiego. Nella direzione di una sostanziale invarianza delle competenze delle Province vanno anche le disposizioni in materia di autonomia finanziaria e tributaria varate con la legge n. 42/2009 (federalismo fiscale).

I vantaggi di una simile soluzione sarebbero sostanziali e significativi. Lo sarebbero per il bilancio pubblico: l’abolizione delle province – fermo restando il trasferimento dei dipendenti e delle funzioni agli altri livelli territoriali di governo – consentirebbe di realizzare risparmi dell’ordine di 7 miliardi annui, ossia una parallela riduzione di spese e di imposte pari a mezzo punto di Pil.

8. Ma evidenti sarebbero anche i vantaggi ove si decidesse di distribuire sulla collettività le risorse “liberate”.
Una prima opzione consisterebbe nel riconoscere un beneficio a ciascuna famiglia italiana: mediamente, circa 300 euro l’anno. L’intervento (sotto forma di “sconto fiscale” o di voucher di spesa) consentirebbe, soprattutto se concentrato sulle famiglie economicamente più deboli, di sostenere un’iniziativa di rilancio dei consumi.
Una seconda opzione (meno dirigista) si concretizzerebbe nella pura e semplice abolizione dei tributi e delle compartecipazioni delle Province, lasciando alle regole del mercato la distribuzione dei benefici. In questo caso i vantaggi per i contribuenti risulterebbero più concentrati e più immediatamente percepibili.

Tavola 2

L'abolizione delle Province nelle tasche degli italiani (valori medi, in euro)

Se sì: Ogni Avrà un beneficio di Per
       
Aboliscono le province famiglia italiana 300 anno
ovvero      
Sopprime la:      
- compartecipazione Irpef (a) contribuente che paga Irpef 70 anno
- addiz. accisa energ. Elettrica (b) ogni PMI, professionista società 0,114 Kw consumato
 - imposta su RC auto ©  proprietario autoveicolo  40  anno
  - IPT - trascrizione PRA ©   proprietario autoveicolo  250  una tantum
 -compart. tassa auto regioni (a)  proprietario autoveicolo  90  anno
 
(a) Nuova imposta del federalismo
(b)Imposta del sistema vigente (verrà meno con il federalismo) 
(c) Imposta del sistema vigente, confermata dal federalismo

In sostanza, i benefici sarebbero significativi già nel sistema vigente e riguarderebbero sia i consumatori di energia elettrica per utenze non domestiche (PMI, società, professionisti), sia i proprietari di autoveicoli, che risparmierebbero mediamente 40 euro l’anno a seguito dell’abolizione dell’imposta sull’assicurazione RC auto e 250 euro per ogni pratica di trascrizione presso il PRA.
Ma ancora più significativi sarebbero i benefici alla luce del quadro che si prospetta con la riforma federalista. L’abolizione delle Province e dei tributi di pertinenza recherebbe vantaggi a tutti i contribuenti Irpef (ogni anno, 70 euro di imposta in meno). Ma, anche in questo caso, la parte del leone spetterebbe ai proprietari di autoveicoli, che vi aggiungerebbero ulteriori risparmi d’imposta pari a 130 euro l’anno (i 40 dell’imposta sulla RC auto e i 90 della nuova compartecipazione all’imposta di circolazione auto); oltre, s’intende, i 250 euro non più dovuti per ogni pratica di trascrizione presso il PRA.

9. In conclusione, tutta l’operazione darebbe luogo a un rilevante risparmio di risorse pubbliche. Ciò che potrebbe tradursi o in un miglioramento dei conti pubblici o in un reimpiego mirato al rilancio dell’economia.
Le opzioni presentate vanno tutte in direzione di un sostegno al reddito disponibile delle famiglie, suscettibile di avviare un circuito virtuoso per l’intero sistema produttivo. Ma nulla impedirebbe, ovviamente, di pensare ad ipotesi intermedie: come quella, ad esempio, di canalizzare direttamente sulle PMI parte delle risorse recuperate con l’abolizione delle Province.
Ma a parte i risparmi e le opportunità conseguibili con un loro reimpiego, l’abolizione della dimensione politica delle Province risponderebbe anche all’esigenza di avvicinare i cittadini alla politica. Ne uscirebbero ampliate le competenze e le capacità dei Comuni e delle Regioni e il dimagrimento della presenza pubblica finirebbe per tradursi in un miglioramento dell'efficienza dei servizi.