di Monica Moretti
“Una volta avevamo buoni raccolti, i campi davano molto cibo. Ma lo scorso anno tutte le piante sono morte per mancanza di acqua. E anche quest’anno è così”. Susanne Tsovalae cerca di arrangiarsi. La sua famiglia, come molte altre che abitano a Tanandava, nel Sud del Madagascar, vive di un mix di agricoltura, pesca e piccoli commerci. Quando i campi non danno raccolti sufficienti per sopravvivere e il marito non riesce a pescare abbastanza pesce, Susanne, che ha 23 anni, va fino a Faux Cap, a più di 200 km di distanza, per acquistare fichi d’india e rivenderli al mercato locale. Riesce così a mantenere i tre figli e il marito. “Facciamo tutto il possibile per non cadere nella povertà” racconta.
Come Susanne sono milioni i giovani che nelle campagne dei paesi in via di sviluppo cercano di sopravvivere al quotidiano. Secondo l ’Organizzazione delle nazioni unite, la generazione dei giovani tra i 12 e i 24 anni non è mai stata così ampia nell’intera storia dell’umanità: 1.3 miliardi di persone. Di queste 85% vive nei paesi in via di sviluppo, e tra queste il 55% nelle aree rurali. Di loro si occuperà il consiglio dei governatori dell’Ifad, il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, riunito questo fine settimana a Roma per discutere del tema “Nutrire le future generazioni: giovani delle compagne oggi, agricoltori agiati e produttivi domani”, tra i relatori anche l’ex segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, oggi presidente dell’Alleanza per la rivoluzione verde in Africa.
“I giovani sono una grande risorsa per i paesi in via di sviluppo. Ma questa risorsa è spesso ignorata, dai politici di questi paesi e anche dalle agenzie di sviluppo che non mettono i giovani in cima alle loro priorità – spiega Rosemary Vargas-Lundius, esperta Ifad per le strategie di sviluppo -. Nelle campagna la situazione è anche peggiore perché la produzione agricola è nelle mani di persone sempre più anziane che non hanno accesso al credito, alle tecnologie, alle sementi, mentre i giovani sono ai margini e non riescono a raggiungere livelli di vita accettabili. Come Ifad abbiamo capito che non possiamo continuare a lavorare con i vecchi agricoltori. Se il nostro obiettivo è arrivare a nutrire il mondo entro il 2050 (quando la popolazione mondiale toccherà i 9,1 miliardi, ndr), dobbiamo investire sui giovani, sulla loro educazione e formazione, e al tempo stesso assicurarci che i governanti locali permettano ai giovani di avere accesso alla terra e che i servizi raggiungano le campagne. Perché i giovani delle aree rurali sanno che esistono la televisione, internet, il telefono e desiderano averli, come tutti gli altri giovani del mondo. Non vogliono continuare a sopravvivere senza acqua potabile, ospedali, scuole”.
Una delle situazioni più difficile è quella dell’Africa sub-sahariana, dove il 60% della popolazione è rappresentato da persone di età inferiore ai 25 anni.
Il rischio, se non si interviene, spiegano all’Ifad, è che i giovani emigrino verso le città, dove alla ricerca di un lavoro, molte volte precario, rischiano di aumentare le già forti tensioni sociali delle periferie, o peggio, si imbarcheranno su delle carrette dirette verso paesi ricchi. Susanne Tsovalae è potenzialmente una di loro, come racconta nel rapporto “Rural poverty report 2011”, vorrebbe andarsene da Tanandava, trovare un lavoro per un paio di anni nel Nord del Madagascar, per poi tornare con un piccolo capitale da investire in polli e mucche e riuscire così, con la vendita di latte e uova, a mandare i figli a scuola.
“L’emigrazione toglie ai paesi in via di sviluppo le risorse migliori: i giovani che emigrano sono i più intraprendenti, per emigrare ci vuole iniziativa, vanno affrontati rischi, e loro li affrontano – dice Rosemary Vargas-Lundius –. L’emigrazione non è necessariamente negativa, ma deve essere una possibilità, non l’unica strada per sfuggire alla povertà”.
“In molte zone del mondo la povertà è stata ridotta. In Asia, per esempio. Sono sicura, voglio credere – continua – che il prossimo decennio sarà quello dell’Africa. In Ghana, per esempio, negli ultimi due decenni si è molto investito sull’agricoltura, sui giovani, e i risultati si vedono”.