Atlante delle crisi


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Thailandia e Cambogia di nuovo ai ferri corti

Nonostante gli altissimi prezzi che le guerre comportano, gli Stati trovano giustificazioni sempre più disparate m

Lunedì il Consiglio di sicurezza Onu ha invitato Cambogia e Thailandia ad “astenersi da qualsiasi azione possa peggiorare la situazione” e arrivare a un cessate il fuoco permanente nella crisi che vede i due eserciti opposti per la supremazia sul tempio di Preah Vihear.

Le ricorrenti scaramucce sono degenerate in scontri d’artiglieria, che dal 4 al 7 febbraio hanno provocato una decina di vittime.

Restano per molti versi oscuri i fattori che hanno scatenato le ostilità: non ci sono cause etniche o religiose, ma forse soltanto pretesti strumentali alla politica interna dei due Paesi. Quella intorno al tempio è solo una delle aree sensibili lungo un confine, terrestre e marittimo, che in gran parte deve ancora essere fissato tra i due Paesi.

Phnom Penh e Bangkok si accusano di continue violazioni delle rispettive sovranità territoriali. I primi scontri per la supremazia sul tempio risalgono al 2001, ma si sono intensificati dopo il 2008. Le parti si accusano reciprocamente di avere aperto le ostilità. Recentemente, anche il luogo sacro ha subito qualche danno. Il lodo arbitrale, che nel 1962 assegnò alla Cambogia la sovranità sul tempio di Preah Vihear, non ha tuttavia demarcato definitivamente il confine tra i due Paesi. L’area di 4,6 kmq, circostante l’edificio, non è mai stata assegnata, favorendo le più svariate interpretazioni.

L’Onu e i 10 Stati membri dell’Asean (l’Associazione dei Paesi del Sud-est asiatico) cercano di dirimere la controversia. I ministri degli Esteri dell’Asean, con l’appoggio anche della Cina, si riuniranno il 22 febbraio con all’ordine del giorno il rafforzamento del cessate il fuoco. Il governo di Bangkok accusa l’Unesco di aver provocato le tensioni, assegnando un riconoscimento a un monumento conteso, e si oppone a qualsiasi “ingerenza” in una questione che ritiene bilaterale.

Al contrario, le autorità cambogiane parlano apertamente di guerra, tanto da suggerire alle Nazioni Unite l’invio di Caschi blu.