Tra una ventina di giorni, l’11 e il 12 dicembre, i 27 Paesi dell’Unione europea si riuniranno intorno a un tavolo per discutere del “pacchetto clima ed energia” europeo. Non sarà la solita riunione di routine. L’Europa dovrà decidere. E questa volta non sarà così semplice.
I 27 dovranno decidere se accettare senza discutere il piano di salvataggio del pianeta, minacciato da drammatici cambiamenti climatici, oppure se ricercare ancora soluzioni alternative che arrivino agli obiettivi del protocollo di Kyoto senza mettere a rischio le finanze dei singoli Paesi. Da Strasburgo è arrivato l’avvertimento della relatrice del provvedimento sul clima, l’irlandese Avril Doyle, che ha messo in chiaro come il Parlamento europeo procederà per la sua strada senza accettare nessuna imposizione dai governi.
La procedura con la quale si deciderà è infatti quella della co-decisione che impone un’approvazione sia della plenaria di Strasburgo sia del Consiglio europeo. La Doyle ha anche criticato la posizione dell’Italia, che a suo dire non suggerirebbe alternative alle proposte avanzate da Bruxelles. Sia il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, sia il sottosegretario Adolfo Urso sono tornati sulla vicenda. La posizione dell’Italia, hanno chiarito i due, è quella che procede verso una “maggiore flessibilità” degli obiettivi, in virtù della pesante crisi economica che sta colpendo tutte le economie mondiali e l’introduzione di clausole di salvaguardia e revisione in tutte le proposte di direttiva e decisione.
Misure essenziali senza le quali l’Italia potrebbe anche “votare contro”, ha detto Urso. Scajola ha ribadito che l’Italia “condivide” gli obiettivi del pacchetto clima-energia, così come la volontà di chiudere entro dicembre l’accordo.
Ma in mezzo pesano costi “importanti” per il nostro paese che il ministro, ha ricordato, sono quantificabili nell’ordine di 15-20 miliardi l’anno. In tutto 180 miliardi fino al 2020, pari all’1,4% del Pil. Si devono conciliare le esigenze rispettando i vincoli fino al 2020 “non perentoriamente”, ma con “flessibilità che sia compatibile con il nostro sistema produttivo”.
F.Ch.