Economia


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Tempo di crisi, l'importanza delle fonti energetiche rinnovabili

A colloquio con il ministro Scajola sul binomio crescita-energia 296_centrale_nucleare

“La recessione è una situazione macroeconomica caratterizzata da livelli di attività produttiva più bassi di quelli che si potrebbero ottenere usando completamente ed in maniera efficiente tutti i fattori produttivi a disposizione”. E’ una delle tante definizioni (in questo caso presa da Wikipedia, l’enciclopedia libera di Internet) che sembra inquadrare proprio la realtà economica che stiamo vivendo. Il Prodotto interno lordo (Pil), che rappresenta l’indicatore principale della ricchezza di un Paese, ha da mesi una crescita sotto zero. E così resterà, per molti altri mesi. Si parla di recessione quando il Pil diminuisce per almeno due trimestri consecutivi.

Quindi l’Italia è in recessione? Lo chiediamo al ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola. E’ così ministro?
“Da metà 2008 l'Italia è entrata in una recessione tecnica e dovremmo chiudere l’anno con un Pil in lieve calo dello 0,2%. Nel 2009 secondo il Fondo monetario dovremmo registrare un Pil negativo dello 0,6%, mentre la Germania sarà a -0,8% e la Spagna a -0,7%. Una leggera ripresa è prevista per fine 2009 e nel 2010. Non c’è dubbio che la situazione economica è difficile: come il resto del mondo stiamo subendo il contagio della crisi finanziaria esplosa negli Stati Uniti che si sta estendendo all’economia reale. Tuttavia, pur nelle difficoltà, stiamo “meno peggio” di altri Paesi: il nostro sistema finanziario è meno esposto alle insolvenze perché le nostre banche sono state più prudenti nella concessione di mutui e prestiti, le famiglie continuano nonostante tutto a risparmiare, le imprese si sono ristrutturate e internazionalizzate e continuano a raccogliere successi all’estero, soprattutto in Russia, Asia e nei Paesi petroliferi. Al tempo stesso il governo sta facendo tutto il possibile per limitare l’impatto della crisi finanziaria sull'economia reale, sulle imprese e sull'occupazione, senza generare squilibri nei conti pubblici. Vanno in questa direzione il Disegno di legge Sviluppo approvato lo scorso 4 novembre dalla Camera e ora all’esame del Senato e le misure anticrisi che il Governo approverà entro novembre. Il Ddl Sviluppo contiene misure strutturali destinate a dare una risposta concreta all’esigenza primaria della nostra economia: il rilancio della competitività e della crescita del sistema produttivo italiano, impegno prioritario del Presidente del Consiglio Berlusconi”.

Un economista del calibro di Giacomo Vaciago, e lo stesso ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, hanno accostato l’attuale fase a quella del ’29. Se così è, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi?
“Anche se il contesto economico in cui sono maturati i recenti crolli dei mercati azionari ha ben poco a che vedere con la grande depressione, non c’è dubbio che per il fatto di essere esplosa negli Stati Uniti e per la sua dimensione globale, la crisi di questi mesi ricordi quella del 1929. ma è anche vero che ciò che abbiamo imparato dalla lezione del ’29, e cioè come uscire da simili crisi, lo stiamo mettendo in pratica, sostenendo le banche, la liquidità del sistema e l’afflusso di credito alle imprese. Per questo dobbiamo usare bene le risorse a disposizione, in un quadro di coordinamento tra i maggiori Paesi e tra le banche centrali. Infine, questo momento di difficoltà non deve farci dimenticare gli obbiettivi strutturali della nostra economia a cominciare dal recupero di produttività delle imprese, che è il grande problema dell’Italia. Vanno in questa direzione gli interventi per detassare i premi di produttività e gli straordinari, per ridurre il costo dell’energia, per semplificare la burocrazia, per agevolare le reti d’impresa, oltre che l’istituzione della cabina di regia sull’internazionalizzazione e poi ancora sgravi fiscali e contributivi per le imprese delle cosiddette ‘Zone Franche urbane’, cioè le venti aree cittadine a maggior disoccupazione, il riorientamento dei fondi per il Sud e gli incentivi per l’innovazione e la ricerca”.

Concetti come globalizzazione, liberismo e crescita economica senza limiti, lasciano il posto a vocaboli che sembravano desueti, anzi, banditi: sviluppo eco-solidale, nazionalizzazioni. Ad esempio: l’idea di un ritorno in Italia, a esperienze come l’IRI, è fantascienza?
“Si, è fantascienza. In una fase di crisi acuta è dovere dello Stato sostenere il sistema finanziario e produttivo. Ma ciò non vuol dire un ritorno dello Stato nella proprietà e nella gestione di banche e imprese, che l’esperienza ha dimostrato essere fonte di grandi inefficienze”.

C’è chi sostiene che “la crescita economica, intesa come produzione senza fine di merci, è un’idea ormai superata. Il PIL è un simulacro al quale sono attribuite proprietà che, per come è stato pensato, non gli possono appartenere. Il PIL rappresenta infatti la somma di “beni e servizi” prodotti e venduti in un dato periodo di tempo in un paese, e non può rappresentare una misura del benessere e della qualità della vita di una nazione”. Mauro Gallegati e Raffaella Rose, ripropongono con questa suggestione, l’ipotesi della “decrescita”. Per lei, ministro, è un concetto applicabile, realistico?
“Il Pil indica grandezze economiche e misurabili, quindi non è in grado di cogliere aspetti immateriali e qualitativi come il senso di benessere o la felicità. Ma è pur sempre un indicatore della capacità di creare ricchezza materiale di una comunità, un indicatore a cui bisogna prestare attenzione in ogni Paese in cui vi siano sacche, più o meno grandi, di povertà o di sottosviluppo, o ampie fasce di bisogni legittimi che non si riesce ancora a soddisfare. Espandere la ricchezza prodotta in una nazione è la premessa per poterla distribuire e credo che un certo livello di ricchezza materiale sia necessaria anche per raggiungere benessere e qualità della vita”.

La crescita senza limiti si scontra anche su ostacoli imposti dalla sopravvivenza del pianeta e, più banalmente, contro il protocollo di Kyoto. L’Italia ha aderito, ma chiede proroghe…
“Una delle grandi sfide della nostra epoca è quella di conciliare lo sviluppo economico e la tutela dell’ambiente. L’Italia ha aderito con convinzione al Protocollo di Kyoto ed è pronta a fare la sua parte. Ma gli obiettivi fissati a Kyoto e nel pacchetto europeo sul clima devono essere realistici e non produrre costi economici e sociali insostenibili soprattutto per i Paesi industriali come l’Italia, già provati dalla recessione economica. Segnalo che stiamo facendo tutto ciò che è in nostro potere per ridurre l’inquinamento, a cominciare dal nuovo piano energetico con il rientro nel nucleare che ha l’obiettivo di ridurre dall’attuale 85% al 50% l’utilizzo dei combustibili fossili (gas, olio, carbone) nella produzione di energia”.

Che ruolo avranno nel futuro del nostro Paese le fonti energetiche alternative al petrolio?
“Come ho già detto il ruolo delle fonti alternative sarà sempre più importante nei prossimi anni, sia per ragioni ambientali, sia per ragioni strategiche, perché non possiamo dipendere dai pochi Paesi produttori di gas e petrolio, sia per a fronte del rincaro e della volatilità dei prodotti petroliferi. Per questo motivo abbiamo messo in cantiere una strategia che mira a bilanciare le componenti del petrolio e del gas naturale con quelle rappresentate dall’energia nucleare e dalle fonti rinnovabili, per giungere a un mix energetico con 50 % di petrolio e gas e 25 % ciascuno per nucleare e rinnovabili”.

 

intervista di Francesco Chyurlia