Giorgio Napolitano ha lanciato a Bergamo un forte appello a uscire "da una spirale insostenibile di contrapposizioni, arroccamenti, prove di forza da cui può soltanto uscire ostacolato ogni processo di riforma".
Il federalismo, le riforme per attuarlo sono "ormai giunte a buon punto", ricorda Napolitano al teatro Donizetti. "E' stato decisivo - aggiunge - e resta oggi decisivo un clima di corretto e costruttivo confronto in sede istituzionale". Dunque un appello ad uscire da una spirale di contrapposizioni e a recuperare nella riforma il senso della solidarietà.
"Non è mio compito intervenire e interferire nella dialettica fra le forze politiche e sociali". Il capo dello Stato ha spiegato che il suo "fondamentale dovere è rappresentare l'unità nazionale che si esprime nel complesso delle articolazioni delle istituzioni". Le istituzioni sono, quindi, il suo punto di riferimento e "poi c'é la dialettica tra le forze politiche e sociali ma lì - ha concluso - non ho compiti di intervenire né di interferire".
Giorgio Napolitano ha fatto riferimento solo con un inciso ai problemi politici attuali rispetto ai quali ha espresso nei giorni scorsi preoccupazione ed allarme. Oggi ha parlato di "tempi confusi che stiamo attraversando". "Non so - ha detto testualmente - se nei tempi confusi che stiamo attraversando qualcuno abbia potuto credere che la Spedizione dei Mille e l'intero fenomeno del garibaldinismo hanno rappresentato una dubbia storia di meridionali. Ma Bergamo fu una delle città più vicine a Garibaldi ed alle sue imprese. Dei Mille che salparono da Quarto, oltre 400 erano lombardi, 180 erano i bergamaschi. Poco dopo altre centinaia da Bergamo raggiunsero in Sicilia le fila garibaldine. I bergamaschi furono il fulcro dei 'Cacciatori delle Alpi'". Napolitano ha citato i nomi di alcuni di quei garibaldini: Gabriele Camozzi, Francesco Nullo, quest'ultimo poi morto in Polonia dove aveva continuato a combattere per ideali di libertà. Il Risorgimento - ha concluso Napolitano - fu guidato dall'ideale della libertà e dal principio di nazionalità strettamente uniti, "e da noi in Piemonte, come in Sicilia, in Lombardia come a Napoli, la nazione da unire e da liberare si chiamava Italia ed aveva radici antiche".
"Bisogna affrontare i problemi con realismo e serenità, perché nessuno può promettere dei miracoli, bisogna fare come la mia generazione nel dopoguerra quando si trattò di ricostruire l'Italia distrutta dalla guerra", ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, replicando all'intervento del rappresentante della consulta provinciale studentesca di Bergamo che aveva detto: "Ci chiediamo se abbia ancora senso l'unità e l'appartenenza alla comunità nazionale in un mondo globalizzato e frammentato e di fronte all'incertezza del domani, del futuro di noi singoli".
"La mia generazione - ha detto Napolitano - visse un'esperienza terribile, quella dell'Italia divisa in due come non era più accaduto dal 1860 del paese sanguinante, in macerie, da ricostruire. C'era da dubitare di tutto ma non ci si doveva scoraggiare, e noi non ci scoraggiammo. Anche oggi è necessario ragionare così. Nonostante le divisioni politiche e ideologiche si riuscì ad approvare una Costituzione nel segno dell'unità. Forze politiche anche tra loro distanti trovarono un punto di incontro nel disegnare quel grande quadro di principi che avrebbe dovuto guidarci e che ci ha guidato fino ad oggi, ci ha salvato da ulteriori rotture". "Voi avete l'ansia di ripartire. Anche allora - ha aggiunto Napolitano - c'era quell'ansia e prevalse l'impegno, la forte volontà di agire per costruire le condizioni per farlo. Oggi voi dovete impegnarvi a dare il vostro contributo affinché si ricrei un clima positivo, nell'interesse di voi giovani e dell'Italia in un mondo che richiede capacità di competere, la capacità di reggere queste sfide".