di Bianca Biancastri
Ogni giorno muoiono in Darfur settantacinque bambini sotto i cinque anni, in gran parte per infezioni e malattie facilmente prevenibili. Un milione e duecentomila, secondo l’Unicef, risultano tagliati fuori da ogni assistenza. Cuore della crisi sudanese, questa vasta regione semidesertica, ma ricca di risorse sotterranee, è la terra delle scorrerie delle milizie dei Janjaweed, spalleggiate dal governo sudanese, che hanno costretto alla fuga metà della popolazione contadina. Non c’è sicurezza per i civili nemmeno nei campi per gli sfollati, dove è sempre più diffuso l’uso della violenza sessuale come arma di ricatto e di umiliziazione ai danni di donne e bambini.
Non c’è pace per i civili e per i bambini del Darfur dal 2003, nonostante la firma dell’accordo tra il governo sudanese e i ribelli del Sudan Liberation Army (Sla) nel maggio del 2006 e nonostante le diverse tregue proclamate unilateralmente dal presidente al Bashir.
Da ottobre 2006 si sono nuovamente intensificati gli attacchi dei Janjaweed contro ribelli e popolazione locale. Il 2008 è cominciato in questa area con una nuova ondata di combattimenti tra esercito e ribelli, in particolare nel Darfur occidentale. Vaste zone della regione sono inaccessibili agli aiuti umanitari. I due gruppi armati, Sla e Equality Moviment (Jem), si ribellano al governo del presidente sudanese, colpevole secondo loro di non fare abbastanza per la popolazione del Darfur. Il governo di Khartum è sospettato, invece, di sostenere le milizie arabe Janjaweed, responsabili degli attacchi contro la popolazione civile. L’Unamid, la forza di pace formata da Onu e Unione Africana, è dispiegata in Darfur dall’inizio del 2008.
“Gua” (“pace” in Nuer, lingua del Sudan). Un messaggio di pace e riconciliazione è stato lanciato a luglio al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite da un ex bambino-soldato sudanese, divenuto un musicista di fama. Emmanuel Jal è stato fortunato. All’età di tredici anni incontrò un volontario che lo portò in Kenya dove fu iscritto in una scuola. Essere istruito cambiò la sua vita. “Sono sopravvissuto per raccontare la mia storia”, dice Emmanuel che non dimentica il Sudan.
Per ulteriori informazioni consulta il sito www.unicef.it