La Conferenza di Cancun sul clima


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Lotta ai gas serra, serve un nuovo slancio

Le delegazioni di 190 Paesi riunite dal 29 novembre al 10 dicembre in Messico b

Il mondo si è dato appuntamento a Cancun per una nuova Conferenza sulla lotta al riscaldamento climatico, ma l’atmosfera che si respira alla vigilia è tutt’altro che incoraggiante.

Il vertice si apre lunedì nella città balneare messicana, un anno dopo l’insuccesso della Conferenza di Copenaghen, che non riuscì a raggiungere un accordo vincolante sui tagli dei gas a effetto serra. E le aspettative, rispetto ad allora, si sono notevolmente ridotte.

I negoziatori di 190 Paesi sperano di portare a casa qualche progresso su almeno alcuni dei temi contenuti nell’Accordo di Copenaghen, un’intesa politica in cui solo una ventina di governi si sono assunti una serie di impegni volontari per la salvaguardia dell’ambiente. Due i capitoli apparentemente meno problematici: la lotta alla deforestazione e i finanziamenti promessi dai Paesi ricchi a quelli poveri, per aiutarli ad affrontare la sfida - e le conseguenze - del surriscaldamento del pianeta. Con un obiettivo su tutti, poco concreto ma psicologicamente cruciale: ritrovare l’entusiasmo per rilanciare il processo della lotta mondiale al cambiamento climatico, avviato 18 anni fa a Rio de Janeiro, liberandolo dalle secche dei veti incrociati e degli interessi nazionali.

Una Conferenza interlocutoria, dunque, quella di Cancun, che dovrebbe servire a preparare la strada a una possibile svolta nel vertice dell’anno prossimo a Durban, in Sudafrica; o al più tardi nel 2012, di nuovo a Rio, dove il cerchio potrebbe chiudersi – si spera – con un trattato internazionale giuridicamente vincolante.

Gli ostacoli da superare sono molti. Lo scontro tra vecchi e nuovi inquinatori, in particolare tra Stati Uniti e Cina, che insieme sono responsabili della metà dei gas serra prodotti nel mondo, continua a rallentare il cammino. Perché i Paesi di nuova industrializzazione inchiodano l’Occidente alle sue responsabilità storiche, e rifiutano vincoli e controlli che danneggerebbero le loro economie in espansione. Ma gli Stati più ricchi, ancora provati dalla crisi economica e finanziaria, non vogliono essere i soli a pagare il conto della tutela dell’ambiente. Tra questi due blocchi, chi rischia di restare stritolato sono i Paesi poveri, i più esposti alle devastazioni del cambiamento climatico. Inondazioni, siccità, aridità, carestie, zone costiere e intere isole sommerse dal mare, epidemie, conflitti per le risorse disponibili, migrazioni di massa: è questo lo scenario pronto a profilarsi se le leadership mondiali non sapranno agire in fretta, ed efficacemente, per scongiurare l’ulteriore surriscaldamento della Terra.

(V. R.)