Il Rapporto Istat


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Ogni giorno 12 morti sulle strade

la metà sono giovani tra i 20 e i 24 anni. Due su dieci, pedoni. Una strage e un’emergenza da combattere g

di Emanuela Gialli

Sono stati 4.237 i morti per incidenti stradali lo scorso anno, il 10% in meno rispetto al 2008. Lo ha reso noto l'Istat nel rapporto annuale redatto in collaborazione con l'Aci, presentato a Roma.

In media nel 2009 ogni giorno hanno perso la vita sulle strade italiane 12 persone, la metà sono giovani tra i 20 e i 24 anni. Due su dieci, pedoni. Ma la mortalità è in diminuzione: tra il 2001 e il 2009 secondo l'Istat si è registrata una flessione del 40%, mentre l'obiettivo europeo era di una riduzione del 50% entro il 2010. L'Italia, sempre secondo l’Istituto di Statistica, è al 10° posto in Europa.

In una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, con AssoGiovani, Forum nazionale dei Giovani e Associazione vittime della strada, che ha preceduto di pochi giorni la pubblicazione dei dati Aci-Istat, si è discusso intorno al tema: “Sicurezza stradale, 2010 obiettivo fallito”. I dati forniti in questa sede, l’Italia si è fermata al 30, massimo 35%, nella riduzione del numero dei morti.

Dieci anni fa, l’Italia si diede il suo primo Piano per la Sicurezza Stradale, che il Governo finanziò con 250 milioni di euro, perché avrebbe dovuto essere lo strumento con il quale raggiungere l’obiettivo fissato dalla Carta Europea. Allora, lo slogan di una campagna di sensibilizzazione dell’Ispettorato Circolazione e Traffico del Ministero dei Lavori Pubblici colpì molto: “E’ come se ogni anno in Italia scomparisse un paese di 8 mila abitanti”. Da questo dato si partiva.

Oggi i morti l’anno non sono più 4.800, come nel 2008. Sono 570 in meno, secondo l’Istat.. Dunque, i risultati si possono leggere in chiave positiva: circa 3.800 persone si sono salvate. Un giusto approccio? Risponde l’On. Mauro Fabris, Presidente Commissione Studio sulla Sicurezza Stradale - Fondazione Caracciolo – ACI: “Senza dubbio un primo risultato è stato raggiunto, grazie a un inasprimento delle sanzioni sull’uso di alcool e droga, sulla velocità, pensiamo ai Tutor in autostrada, ma non nella misura secondo me necessaria. E c’è stata soprattutto una diminuzione della circolazione stradale per la crisi. I numeri parlano chiaro: nelle città prevale l’uso dei mezzi pubblici, rispetto all’uso dell’auto. Non basta però”. Fabris si occupa di sicurezza stradale dal 1996, anche come sottosegretario ai Lavori Pubblici.

Cosa serve, Fabris?
Da anni vado sostenendo che deve cambiare il clima di assuefazione nell’opinione pubblica. I morti per terremoto, alluvioni, incidenti ferroviari o aerei generano reazioni nella società . Sul fatto che oggi almeno 12 persone moriranno sulla strada, e purtroppo questo è matematicamente certo, non c’è invece sufficiente allarme.

Norme più severe sarebbero però impopolari
L’impopolarità deriva da una mancanza di cultura e di una esatta percezione del fenomeno. Di fronte ad esempio allo sballo del venerdì, sabato, o al bere prima di mettersi alla guida, non c’è sanzione sociale, non c’è condanna morale. E il Legislatore, il Parlamento, registra ciò che il Paese vuole. Le minicar, tanto per fare un esempio, per me non dovrebbero circolare. Perché non sono sicure. Ma il genitore preferisce che il figlio vada su 4 ruote, anziché su 2. In questo modo, non si riesce a varare norme adeguate.

Non c’è soluzione quindi?
Io ho più volte chiesto che venga istituita un’Agenzia con gli stessi poteri della Protezione civile. Eravamo quasi vicini a farla, poi sono scattate le gelosie tra i ministeri, nessuno vuole perdere le proprie competenze. Ed è subentrato il federalismo, che ha trasferito i poteri in materia di sicurezza stradale a province, comuni e regioni. Ognuno va per proprio conto. Invece il tema va riassunto in un organismo con poteri straordinari. Perché servono leggi speciali.

Potrebbe essere lei il Bertolaso della sicurezza stradale?
Al di là di questo, è importante che scatti qualcosa nell’opinione pubblica. La decisione politica bipartisan verrà da sé.

Intanto, altre analisi statistiche descrivono quadri allarmanti. Marcello Aranci, presidente della Consulta provinciale per la Sicurezza Stradale. “I morti in Italia sono il doppio di quelli in tutta l’Europa. Il 75% della mortalità europea è nel nostro Paese. Nella classifica delle morti in città, dopo Lubjana, Vilnius e Riga, troviamo Catania, Messina, Verona e Roma”.

E il Piano nazionale per la sicurezza stradale, Aranci?
Doveva essere rinnovato ogni anno. E’ andato avanti a fasi alterne. E i fondi sono diminuiti di un quinto. Ora siamo a 55 milioni, da dividere tra 20 regioni, 8 mila comuni e 106-108 province.

C’è sensibilità nell’opinione pubblica verso questo tema?
A mio avviso, non c’è un’adeguata preparazione. La strada è governata dalle leggi della fisica, come nel sistema aereo e navale. Ecco perché occorrono regole rigide. Ma 1218 giorni per approvare una riforma del codice della strada sono un tempo infinitamente lungo per poter intervenire rispetto anche, ad esempio, alle nuove violazioni che si creano ogni giorno. Non solo. Qualcuno ha pensato a normare l’uso delle tv in macchina? Chiunque po’ comprare un apparecchio televisivo o un mp4 e vederlo tranquillamente in auto mentre guida.

“I morti –conclude Aranci- costano 30 miliardi di euro, la metà degli interessi sul nostro debito pubblico”. E’ forse con la brutalità delle cifre che si può ottenere quella “sanzione sociale” da cui far discendere norme più efficaci?